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“All’est dell’est” di Klavdij Sluban

DALLA COLLABORAZIONE DI CINQUE CASE EDITRICI europee nasce nel 1994 l’European Publishers Award for Photography, con l’obiettivo di promuovere i talenti della fotografia presso il grande pubblico. La giuria vede ogni anno la presenza dei rappresentanti di ognuna delle case editrici partecipanti al progetto, per l’Italia la Peliti Associati, e di un membro esterno, un autorevole esperto di fotografia, quest’anno Maria Francesca Bonetti, curatrice delle Collezioni Fotografiche dell’Istituto Nazionale per la Grafica cui si è aggiunta anche Adriana Nuneva, Global Marketing & Communications dell’azienda Heidelberger Druckmaschinen AG, che ha sostenuto questa edizione del concorso.

Il vincitore dell’edizione 2009 del premio, la sedicesima, è Klavdij Sluban con il progetto fotografico “All’est dell’est”. E sfogliando il suo libro, se pur da semplici appassionati e senza essere realmente esperti, non si può che concordare con la scelta della giuria.

Klavdij Sluban, nato a Parigi nel 1963, ha trascorso la sua infanzia in Slovenia, a Livold, si è laureato in letteratura anglo-americana e dopo uno stage di stampa in bianco e nero nell’atelier di Fèvre si è dedicato ai viaggi, consacrandosi completamente alla fotografia ormai da diciassette anni.

Le sue foto ci mostrano volti, ci parlano di viaggi e di paesaggi all’est delle cose e del mondo, ci descrivono emozioni e ci incantano per la loro bellezza. Come scrive Erri De Luca nella prefazione, “per chi come me sa che da quel punto cardinale [l’est] inizia il giorno, la notizia del fotografo scombina le carte: da lì proviene l’ombra. Anche le neve è cupa, la luce un bianco stinto, in esilio sulla superficie”.

Klavdij Sluban, Mosca, 2005, foto ripresa dal libro "all'est dell'est"
Klavdij Sluban, Mosca, 2005, foto ripresa dal libro “all’est dell’est”

Ma l’est di Sluban non è solo l’est dell’Europa, è il viaggio lungo la transiberiana, in Russia, in Mongolia, in Cina, a Shanghai e lungo la transtibetana, sono scatti che ci aspetteremmo pieni di persone, perché è così che immaginiamo l’Asia e le sue terre, mentre invece, a volte, è quasi impossibile anche solo immaginare che quei luoghi, se pur architettonicamente antropizzati, possano essere davvero abitati da qualcuno.

Il fotografo usa tempi di posa lunghi su diaframmi chiusi, il risultato sono immagini che sembrano quasi sporche, macchiate, graffiate, ben diverse da quelle patinate che quotidianamente ci rincorrono, ma forse per questo proprio colpiscono e catturano la nostra attenzione, ci congelano come fossimo bloccati anche noi nello scatto del fotografo, immobili, come immobile è l’istante che affiora nella stampa.

Vent’anni fa cadeva il muro di Berlino, veniva demolito questo ultimo grande baluardo di separazione, ma il concetto del muro, del confine, dell’elemento che ci difende da ciò che è altro e fuori di noi ma insieme ci tiene chiusi in uno spazio inviolabile, emerge con forza e intenso dolore in una fotografia realizzata a Mosca nel 2007. Molte poi sono le fotografie di Sluban scattate attraverso un vetro, come fosse questa una barriera invalicabile, un filtro ulteriore alla vita e al vivere, di certo frutto anche dell’esperienza del fotografo che dal 1995 ha scelto, nelle pause dei suoi viaggi, di creare atelier di fotografia per giovani detenuti, in Francia ma anche nei paesi dell’est, in ex-Jugoslavia, in ex- Unione Sovietica e di recente in America centrale.

Molti quindi i temi e i soggetti di questo libro fotografico, di questo diario per immagini realizzato tra il 2002 ed il 2007, così intenso, così forte, con la neve sempre protagonista, ma non candida e pulita come nelle favole per bambini, bensì sporcata e lacera come un lenzuolo strappato dall’uso.

Martina Gianino

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