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Arts & Foods: la mostra di Celant alla Triennale di Milano per EXPO

Abbiamo fatto un giro ad Arts & Foods. Rituali dal 1851, la grande mostra curata da Germano Celant alla Triennale di Milano, padiglione numero 1 di Expo: 7000 metri quadrati di esposizione e 2000 pezzi da tutto il mondo, tra dipinti, menù, manifesti d’epoca, stoviglie e installazioni supercontemporanee. Ecco i dieci pezzi da non perdere.

1) La bottigliona di ketchup gonfiabile di Paul McCarthy. No, non McCartney: McCarthy. Questa certamente non c’è rischio di farsela sfuggire: alta 15 metri – pressappoco come la Triennale – è ancorata nel giardino del museo, tra il DesignCafé e i Bagni misteriosi di De Chirico. Provocatorio (anti)monumento alla dieta Made in USA.

2) Il mini McDonald’s di Tom Sachs. Ovvero un ristorante McDonald’s fatto e finito, formato chiosco – McKiosk? – con tanto di istruzioni su come usarlo scritte sulla carrozzeria. Il peggior incubo di Michelle Obama.

Tom Sachs, Nutsy’s McDonald’s, 2001
Tom Sachs, Nutsy’s McDonald’s, 2001

3) La Maison de Jours Meilleurs di Jean Prouvé. Le Corbusier la definì “la casa più bella che conosco, il luogo perfetto in cui vivere”. Progettata nel 1956 come abitazione d’emergenza per i senzatetto, la “Casa per giorni migliori” è poi diventata un modello di prefabbricato. Leggera ed economica, può ospitare una famiglia e si monta in appena sette ore. Ma le autorità francesi la bocciarono perché servizi e cucina, ubicati al centro della struttura, non avevano un accesso esterno. La copia esposta, di proprietà della galleria Patrick Seguin di Parigi, è l’ultima rimasta. Attualissima.

Jean Prouvé, Maison des Jours Meilleurs, 1956. Galerie Patrick Seguin, Parigi
Jean Prouvé, Maison des Jours Meilleurs, 1956. Galerie Patrick Seguin, Parigi

4) Le opere da forno di Merz e Penone. Con Celant curatore, non potevano certo mancare i maestri dell’Arte povera, che hanno spesso usato il cibo come materiale per le loro opere. Qui ce ne sono due begli esempi: l’Igloo del pane (1989) di Mario Merz, che si spiega da solo, e il Pane alfabeto (1969) di Giuseppe Penone, un filone di due metri farcito con 26 lettere d’acciaio. Povere ma belle.

Giuseppe Penone, Pane alfabeto, 1969
Giuseppe Penone, Pane alfabeto, 1969

5) La casetta di pane di Urs Fischer. Già esposta nel 2005 dalla Fondazione Trussardi presso l’Istituto dei Ciechi, sempre a Milano, in una mostra memorabile (Jet Set Lady). Là, però, la Bread House era abitata da una famiglia di parrocchetti, qua purtroppo assenti per ovvi motivi, che giorno dopo giorno la consumavano a colpi di becco. Incompleta.

Urs Fischer, Bread House, 2004-5
Urs Fischer, Bread House, 2004-5

6) L’Ultima Cena di cioccolata di Vik Muniz. Nel suo menù-portfolio ci sono pure una Medusa di spaghetti, una Gioconda di burro d’arachidi e un Che Guevara in salsa di fagioli. Qualche anno fa, poi, ha riprodotto alcuni famosi dipinti utilizzando la spazzatura di Jardim Gramacho (Rio de Janeiro), la più grande discarica del mondo. Ha poi donato il ricavato della vendita delle opere all’associazione dei catadores, gli operai dell’immondezzaio. Lucy Walker ci ha fatto un documentario pluripremiato, Waste Land (2010). Da vedere.

7) La donnina triste di Ron Mueck. La faccia del neonato che le sbuca dal capotto, l’espressione abbattuta, due borse della spesa in mano. Pare vera, ma non è alta neppure un metro. Mueck è un maestro della scultura iperrealista, ma con una particolarità: i suoi personaggi – che ritrae in momenti d’intimità, spesso nudi o quasi – sono sempre fuori misura, un po’ più piccoli o molto più grandi del normale. Questo semplice espediente, unito alle loro espressioni malinconiche, conferisce alle sue sculture una potenza espressiva straordinaria. Sarebbe ora che in Italia qualcuno si decidesse a dedicargli una retrospettiva.

Ron Mueck, Woman with Shopping, 2013
Ron Mueck, Woman with Shopping, 2013

8) L’inferno fast food dei fratelli Chapman. Squadre di scheletri con elmetti della Wehrmacht macinano orde di soldati nazisti trasformandoli in panini. Sulle acque dell’Acheronte, un motoscafo ha arpionato l’orca Willy. In cima al Golgota, un demonio offre un hamburger infilzato su una lancia a un Ronald McDonald crocifisso. È l’apocalittico e affollatissimo diorama When the World Ends (2012) di Jake e Dinos Chapman. Piacerà molto ai vegetariani.

Jake and Dinos Chapman, When the World Ends, 2012
Jake and Dinos Chapman, When the World Ends, 2012

9) Il super-supermercato di Andreas Gursky. Usando il solito trucchetto da Photoshop, in 99 Cent II Diptychon (2000) Gursky ha moltiplicato gli articoli esposti in un supermercato fino a riempire gli scaffali di una quantità impossibile di merce. Ma l’occhio ci casca e fissa stupito la scena. Il dittico, prodotto in sei copie, è ad oggi la quarta fotografia più pagata ad un’asta: 3,3 milioni di dollari (Sotheby’s London, 2007). In altre parole: la sovrapproduzione alimentare del “primo mondo” e gli eccessi dei magnati del collezionismo. Disorientante.

Andreas Gursky, 99 Cent II Diptychon, 2000 (particolare). Andreas Gursky, Dusseldorf © Andreas Gursky, VG BILD-KUNST, Bonn
Andreas Gursky, 99 Cent II Diptychon, 2000 (particolare). Andreas Gursky, Dusseldorf © Andreas Gursky, VG BILD-KUNST, Bonn

10) L’Africa di Donald McCullin. Poco più in là, sta appesa Mother with Child (1969) di Donald McCullin. È tutta l’opposto della foto di Gursky: istantanea, in bianco e nero, ritrae una scheletrica donna africana che allatta il figlio affamato. Assieme, compongono i due estremi di un ideale trittico di cui manca l’immagine centrale: un normale negozio di alimentari dove quella madre può comprare un cartone di latte per il suo bambino. Cioè il tema di Expo 2015 – “Nutrire il pianeta, energia per la vita” – che però, per ora, sembra più una fiera d’architettura.

Donald McCullin, Mother with Child, 1969
Donald McCullin, Mother with Child, 1969. Courtesy of the artist and Contact Press Images – Luz

Stefano Ferrari

Arts & Foods – Rituali dal 1851
Triennale di Milano, Viale Alemagna 6
9 aprile – 1 novembre 2015
Orari: tutti i giorni dalle 10 alle 23

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