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Io sono un robot?

PROVIAMO AD IMMAGINARE UN ROBOT CON CAPACITÀ d’autoapprendimento, di comprensione e interazione col mondo esterno: un robot in sostanza che sia capace di decidere cosa fare in una qualsiasi situazione. Immaginiamo anche che il robot, a conseguenza delle decisioni e quindi delle azioni intraprese, si debba assumere responsabilità sulle proprie azioni: su chi ricadrebbe tale responsabilità?

Per ora certo il problema non si pone in quanto non siamo ancora di fronte a dispositivi di questo tipo. Se il robot sbaglia è l’azienda o il singolo individuo che l’hanno programmato a rispondere di tutto ciò che succede.

In un tale scenario emergono i problemi fondamentali che l’utilizzo dei robot su vasta scala scatenerebbero, prima di tutto come accennavo sopra, la questione della responsabilità.

Ma perchè dunque i robot? Perché costruire dei robot? Diventeremo esseri umani migliori se saremo circondati da automi? In fondo non sappiamo se l’uso della tecnologia abbia prodotto persone migliori dal punto di vista etico, se le relazioni tra gli esseri siano migliorate qualitativamente.

Da un lato quindi c’è la macchina, e se è per questo, siamo già circondati da robot biologici che navigano nel mare dell’organico, che risolvono ed eseguono compiti, vedono e operano meglio dell’uomo.

Lo scopo ultimo dell’essere non è quello di eseguire e di celebrare solo la sua forma. anzi l’evoluzione tecnologica al servizio dell’essere ci riporta di fatto al problema dello sganciamento del lavoro non a misura d’uomo, e molti sono i passi ancora da fare in questo senso. Parlare di robot, di tecnologia robotica, di scenari a dir poco fantascientifici non ha senso se prima non si fa chiarezza e si discute dal punto di vista ontologico e cioè su quali sono i limiti e le soglie di rispetto della vita. Gli automatismi non appartengono di fatto solo alla macchina, gli automatismi sono anche organici, il nostro corpo ad esempio respira in modo involontario è biologicamente autocomandato e non per questo noi  siamo definiti robot.

un’illustrazione tratta da Zero il robot, di Aldo Nove e Marta F. Tassi, Grandi assaggi Bompiani
un’illustrazione tratta da Zero il robot, di Aldo Nove e Marta F. Tassi, Grandi assaggi Bompiani

Il dibattito e il confronto tra i transumanisti, che non credono in un’anima umana trascendente e sostengono l’uso delle scoperte scientifiche e tecnologiche per aumentare le capacità fisiche e cognitive e i bioconservatori è aperto. L’approccio scientifico dovrà fare i conti con chi crede che la coscienza umana non possa essere trasferita su un supporto alternativo. Negli USA ad esempio sta crescendo il partito antiscienza: il 48% degli americani vorrebbe sostituire i corsi di biologia evoluzionista nelle scuole con la lettura della Genesi.

Se avessimo il controllo totale della nostra macchina corpo, della nostra mente, sull’apparato fisico, sull’errore, sul caos e sulla vita, potremmo riprodurre e proiettare questa perfezione sulle macchine. E le macchine sono legate al nostro destino.

Quindi ci si chiede perché gli uomini continuano a fantasticare di progettare robot simili agli esseri umani, ma poi ne hanno una paura tremenda? È la paura ancestrale di perdere la propria integrità fisica e psichica. Senza dimenticare un aspetto: la creazione d’esseri complessi, identici a noi che amano, vivono, soffrono e muoiono, robot antropomorfici progettati soprattutto per obbedire ed essere a noi assoggettati, riprodurrebbe dinamiche d’ordine nevrotico e distruttivo. La pervasività sempre più massiccia di dispositivi tecnologici che interagiscono con la vita umana, fanno pensare che nel futuro l’uso di androidi o di biobot condizionerà le nostre relazioni, le scelte e obbligherà ad una ridefinizione della concezione del corpo, abbattendo i confini tra organico e inorganico. Se un robot sapesse di essere un robot, il gioco sarebbe fatto. Qui non si tratta di escogitare sensori, (di recente è stata creata una “epidermide” artificiale dotata di migliaia di sensori che consentono al robot di “sentire” e di dare una risposta a differenti stimoli tattili). Basterebbe inculcare nella mente del robot un programma del tipo Io sono un robot? E poi attendere la nascita di una qualsiasi coscienza, di quella coscienza che, come diceva  Shakespeare “ci rende vili”.

Vedete che parlando di robot saltano fuori le idee di essere e di esistenza, di phisis organizzante che sono alla base delle riflessioni teoriche e da cui non si può prescindere. Per dirla con Edgar Morin “Non si può chiudere il concetto di vita in quello di macchina, o di automa. Il concetto di vita li contiene, li travalica, li supera, ed è lui a racchiuderli”.

Incontro del Pinocchio Marionetta e Pinocchio Virtuale, Mediartech,  in e-Art, arte, società e democrazia nell’era della rete- Editori Riuniti
Incontro del Pinocchio Marionetta e Pinocchio Virtuale, Mediartech, in e-Art, arte, società e democrazia nell’era della rete- Editori Riuniti

L’aspetto creativo è senz’altro quello più interessante perché espande i confini della conoscenza, apre nuovi territori d’indagine. L’arena telematica è poi uno scenario in cui il robot virtuale è protagonista assoluto. Ai robot che vivono nello spazio virtuale si affiancano robot che si muovono nello spazio fisico, robot che interagiscono e sono connessi con il mondo virtuale. Un esempio a questo proposito è il progetto “Pinocchio interattivo” esibito per la prima volta in Virtuality&INteractivity II ( MediaARTtech, Maggio 1999 a Firenze). Pinocchio è l’Icona universale del robot. Il burattino nell’immaginario collettivo rappresenta l’automa che prende vita mediante il movimento dei fili del burattinaio.

Molti sono i riferimenti della letteratura e dell’arte che hanno utilizzato l’automa per metter in scena il controllo sulla vita, proiettando sulla marionetta-robot un immaginario collettivo. Nell’installazione del Pinocchio interattivo il burattino robot è alto 1,8 metri ed è sospeso con fili che controllano i suoi movimenti (anch’essi manovrati da una macchina Robot). Pinocchio è posto di fronte ad uno schermo di 3 mt x 3 che mostra il suo alter ego virtuale. Lo spettatore può interagire con la storia e con i personaggi disegnando nuove trame e ambientazioni.

Infinite sono quindi le possibilità d’impiego nell’arte del robot e in futuro assisteremo allo sviluppo delle potenzialità d’intreccio tra diverse dimensioni temporali, alle sinergie tra mezzi tecnologici per cui la ricerca creativa giungerà a nuovi e vitali dinamismi. L’obiettivo di tutte le indagini umane rimane in ogni modo quella di interrogarsi su che cosa è la vita. Un robot in carne ed ossa, un clone robot potrebbe cominciare a domandarsi tante cose così come nel libro di Aldo Nove, il povero Zero Robot, che invece è di latta, non riesce nemmeno a vedersi allo specchio.

“Zero chiese al Dalai Lama Robot cosa fosse la vita e il Dalai Lama gli disse che era una cosa che una volta che incominciava diventava esagerata e piena di altre cose, senza mai smettere, con una fantasia infinita e così continuava da sola a produrre forme e civiltà”. È l’uomo metallico contemporaneo che abita il cyberspazio quel “regno dell’uomo dalle radici tagliate, quell’uomo moltiplicato, che si mescola al ferro e all’elettricità e che si identifica con il motore”, di cui Marinetti parlava nel suo manifesto futurista del 1910.

Come sarà l’uomo di domani ? Sarà in grado la scienza di regalarci un’umanità con un nuovo stadio evolutivo, con nuove possibilità di utilizzo delle nostre facoltà fisiche e mentali? Nella consapevolezza critica, la sfida è aperta.

Stefania Carrozzini

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