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La liberta’ di essere… Julian Schnabel

“Ci sono troppe mediazioni; troppe parole, idee e teorie si frappongono tra l’osservatore e l’oggetto della contemplazione”

Julian Schnabel, 1983

Camaleontico, eccentrico, inarrestabile, Julian Schnabel incarna nell’immaginario comune il prototipo dell’artista newyorkese: “Nessun luogo al mondo è stato caratterizzato in egual misura dall’energia e dal senso dell’opportunità” come New York, racconta Schnabel da Palazzo Chupi, il suo quartier generale, nella zona ovest di downtown, una grande casa-studio da lui stesso progettata con la magnificenza e l’ecletticità di uno stile melting pot. Ed è con orgoglio che aggiunge: “New York continua ad apparire vibrante e performativa”. In effetti, è impossibile scindere la sua ricerca artistica dallo spirito cosmopolita e irrefrenabile della metropoli in cui è nato (nel 1951) e in cui vive: “Chi viene qui è pronto a ridefinire la propria identità. La sensibilità nasce in questo terreno e nell’idea di libertà su cui è stata fondata la città”. Ed è proprio questo senso di libertà che si respira nelle sue opere e nel suo essere anticonformista, non solo nel vestire pigiami a tutte le ore del giorno e della notte, ma nel sentirsi libero di spaziare dalla pittura alla scultura, dall’architettura alla regia cinematografica alla fotografia senza soluzione di continuità e con esiti straordinari, perché creare è per lui sinonimo di essere.

JULIAN SCHNABEL Adieu, 1995 Olio e resina su tela, cm 274x243 Collezione privata
JULIAN SCHNABEL Adieu, 1995
Olio e resina su tela, cm 274×243 Collezione privata

Accantoniamo per questa volta lo Schnabel architetto e il designer di mobili eclettici e regali. Lasciamo da parte anche il regista, che negli anni ha collezionato importanti successi: nel 1996 ha diretto Basquiat, emozionante biografia del grande artista newyorkese, in cui la parte di Andy Warhol è interpretata da David Bowie; nel 2000 ha firmato Prima che sia notte che ha ottenuto il Gran Premio della Giuria alla 57ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e Coppa Volpi per il miglior attore a Javier Bardem; nel 2007 Lo scafandro e la farfalla, miglior regia al 60° Festival di Cannes e ai Golden Globes del 2008; e poi ancora Lou Reed’s Berlin (2007) e Miral (2010).

Concentriamoci, invece, sullo Schnabel pittore, i cui esordi si collocano alla fine degli anni settanta (la prima mostra è del 1976 al Contemporary Arts Museum di Houston) e che fin da subito ha mostrato una particolare attrazione per l’energia materica e gestuale della pittura, guardando a Pollock, a Twombly, alla Transavanguardia e al neoespressionismo di una pittura indipendente e sensoriale, in anni in cui il minimal e il concettuale tenevano banco ovunque. Non solo, importanti riferimenti sono stati attinti anche dalla tradizione europea e mediterranea, con artisti come El Greco o Goya nella consapevolezza che “tutte le componenti dell’opera sono parti di un desiderio di trasformare lo spirito” [1].

JULIAN SCHNABEL JMB, 1988 Olio, gesso su telone, cm 487x487 Collezione privata
JULIAN SCHNABEL JMB, 1988
Olio, gesso su telone,
cm 487×487 Collezione privata

Schnabel affida al colore il compito di trasmettere emozioni e verità: “La materialità di un’opera d’arte è importante solo finché rivela una qualità di essere, di significato, di sensazione, un riconoscimento” ha scritto. E nelle sue gigantesche tele, gli spazi sono solcati da segni e macchie di colore che si muovono come vortici su fondi dai quali spesso affiorano tracce di immagini rubate alla storia, al tempo passato e a quello futuro. Velluto, tela (da quella cerata dei camion a quella gommata dei pavimenti dei ring), legno, tappeti, fondi di teatro giapponese e perfino vele fanno da fondo alla forza selvaggia di una pittura che è esperienza emotiva e catartica poiché per Schnabel l’arte è “un fatto fisico, un microcosmo del mondo per l’artista, un manuale per altri. […] Attraverso il fare oggetti si imparano le cose sulla vita che non possono essere apprese (o comunicate) in nessun altro modo”. Pieni di fascino e di persuasione plastica sono anche i Plate paintings (1978-1986), una delle serie più interessanti e più conosciute, nati da collage di piatti di ceramica, i cui frammenti, disposti su tutta la superficie o solo su una parte, creano un mosaico di tessere tonde e un’orogenesi dissestata e sismica, che paiono suggerire un’inarrestabile esfoliazione della materia e del racconto che vi è dipinto sopra.

Scritte, materiali, oggetti e segni diventano tutti parte di un narrazione on the road, che cerca in chi guarda non la complicità di chi è pronto ad assecondare, ma lo spirito di chi è disposto a lottare e a scoprire: “Non mi aspetto più che la gente mi capisca. […] Il concetto è di fare qualcosa non per un pubblico, ma con una coscienza del pubblico, una parte del quale, sicuramente, non è ancora nata”.

È sufficiente guardare le opere raccolte da Italo Tomassoni al Centro Italiano di Arte Contemporanea di Foligno, un nucleo di quattordici lavori che esemplificano cronologicamente il lavoro compiuto dall’artista tra il 1985 e il 2008, per trovarvi molti dei punti cruciali della sua ricerca. Otto delle quattordici opere appartengono al gallerista Gian Enzo Sperone, amico e vicino di casa a New York, altre arrivano da collezioni private, ma solo tre sono già state esposte in Italia[2]. Tra queste spiccano il gigantesco JMB (un quadrato di quasi cinque metri di lato), realizzato dopo il tragico suicidio dell’amico Basquiat e messo in mostra una sola volta a Toronto, The Conversion Of St. Paolo Malfi del 1995, un mix di olio, resina, stoffa e fotografia dai toni giallognoli e Adieu del 1995, un intenso e sanguigno addensamento di rossi tra dense pennellate nere e profonde. “E’ così che l’arte è generativa” confessa Schnabel perché “quello che gli artisti possono dare agli altri, l’utilità che hanno in questa vita, sta nella loro scoperta di un punto di convergenza in cui il fatto fisico denota uno stato di coscienza”.

Lorella Giudici

D’ARS year 53/nr 214/summer 2013


[1] J, Schnabel, Scritti, in Julian Schnabel opere recenti, catalogo mostra, Galleria Gian Ferrari, Milano 12 maggio – 15 luglio 1994, p. n. n. Tutte le citazioni che seguiranno sono ugualmente riprese da questo scritto.

[2] Tra le più importanti mostre di Schnabel in Italia si ricordano: alla Biennale di Venezia nel 1980, dove ha esposto i suoi key-pieces; alla Gian Ferrari di Milano nel 1983; la grande retrospettiva alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna nel 1996; alla Galleria Cardi & Co di Milano nel 2004; a Cà Correr a Venezia nel 2011 con un’antologica di quaranta dipinti.

 

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