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Les Rencontres d’Arles 2016: tutti i volti della fotografia

Les Rencontres d’Arles 2016: con oltre 40 esposizioni, visibili fino al 25 settembre, la 46° edizione del festival internazionale offre uno spaccato delle tendenze più variegate della fotografia contemporanea, fuori dai cliché e dagli schemi espositivi prestabiliti.

Untitled. Concept and images by Toiletpaper magazine: Maurizio Cattelan and Pierpaolo Ferrari
Untitled. Concept and images by Toiletpaper magazine: Maurizio Cattelan and Pierpaolo Ferrari

Noto per la sua tendenza a promuovere la photographie plasticienne, ovvero  la fotografia come mezzo di espressione artistica e non solo documentaria, l’edizione di quest’anno di Les Rencontres d’Arles si caratterizza per la ricerca – voluta dal nuovo direttore Sam Stourdze – di forme espositive eclettiche, spesso prese a prestito dall’universo dell’arte contemporanea, e per la volontà di testimoniare la diversità di approcci e di pratiche della fotografia. Istallazioni, immagini sospese, confluenze tra le diverse forme espressive, tutte accomunate dall’utilizzo del medium fotografico, considerato anche nella sua accezione più tradizionale di documento e strumento di indagine del mondo passato e presente.

Siege of Sarajevo, 5 April 1992-25 February 1996. Ski station, Mount Jahorina, Sarajevo, Bosnia-Herzegovina, 2014. Courtesy of the artist
Siege of Sarajevo, 5 April 1992-25 February 1996. Ski station, Mount Jahorina, Sarajevo, Bosnia-Herzegovina, 2014. Courtesy of the artist

Al tema della guerra, tipicamente fotogiornalistico, vengono dedicate ben tre esposizioni. Invece di mostrare i conflitti bellici attraverso i suoi orrori e i suoi drammi, i tre lavori presentano fotografie silenziose, immobili: quello che resta dopo la guerra, nel paesaggio e nella memoria collettiva. Champs de Bataille di Yan Morvan è un inventario dei campi di battaglia fotografati con un banco ottico anni, a volte secoli dopo gli avvenimenti storici: campi aperti, foreste, litorali, ponti, fiumi e fortificazioni, a testimoniare come la natura ritorni a dominare incontrastata in quei luoghi, come il paesaggio sia tanto vasto quanto la Storia, e come, a pace ritrovata, il perché delle guerre resti un interrogativo privo di risposta.

2016-PHE-cat03 : «Agent 0051», dalla serie "Phenomena, realité extraterrestre" di Sara Galbiati, Peter Helles Eriks e Tobias Selnaes Markuss
2016-PHE-cat03 : «Agent 0051», dalla serie “Phenomena, realité extraterrestre” di Sara Galbiati, Peter Helles Eriks e Tobias Selnaes Markuss

 

Altrettanto senza risposta restano gli interrogativi sollevati dall’esposizione Phenomena, realité extraterrestre di Sara Galbiati, Peter Helles Eriks e Tobias Selnaes Markuss. La fotografia diventa strumento di indagine sulle credenze legate agli Ufo. I tre fotografi danesi decidono di viaggiare attraverso gli Stati Uniti, dove cominciò il mito degli extraterrestri. Raccolgono prove e testimonianze di questa “religione alternativa”, che non pone né Dio né l’uomo al centro dell’universo. Una fotografia dall’approccio antropologico, un’indagine dal rigore scientifico che non lascia indifferenti nemmeno i più scettici quanto all’esistenza possibile di altre forme di vita nel cosmo.

dalla serie The Jungle Show, di Yann Gross, The Turtle Cap, Shapajal, Rio Curaray, 2015. Courtesy of the artist
dalla serie The Jungle Show, di Yann Gross, The Turtle Cap, Shapajal, Rio Curaray, 2015. Courtesy of the artist

 

Dal sapore etnografico è anche l’esposizione The Jungle Show, di Yann Gross. Attraverso un’erranza visiva lungo il Rio delle Amazzoni, l’autore esplora il mito dello sviluppo e rivela l’impatto ambientale e culturale del “progresso”. In una stanza buia, degli enormi cubi diffondono immagini retroilluminate. Quest’ultime, frutto di leggere messe in scena, si accavallano nello spazio scuro e guidano lo spettatore attraverso l’ambigua sovrapposizione di culture, miti e paesaggi che compongono oggi l’Amazzonia: figure tribali si confondono con istallazioni industriali, animali impagliati con strade animate, mentre le didascalie appena leggibili al buio permettono di ricomporre il filo conduttore di questo spazio frammentato.

Transgendered man, United States, circa 1930.
Dalla serie Mauvais genre di Sebastien Lifshitz, Transgendered man, United States, circa 1930.

Mauvais genre, esposizione tratta dalla collezione Sebastien Lifshitz, ripercorre la storia transgender attraverso la fotografia amatoriale d’inizio secolo. «La fotografia amatoriale – racconta il collezionista – inventa un’altra prospettiva sulla società». Riservata all’intimità della vita personale, lontana dai giudizi e dalla morale pubblica, essa ha concesso la libertà d’espressione a coloro che vivono ai margini. E ha permesso di documentare questo rito collettivo stranamente diffuso alla fine del XIX Secolo, il travestimento, soprattutto al femminile. In un’epoca in cui le donne desiderose d’indossare un abito maschile dovevano presentarsi alla Prefettura per ottenere l’autorizzazione, rischiando reputazione, amici e lavoro, il travestimento diviene un atto politico e sovversivo. Proletarie, studentesse, militanti rivoluzionarie, ballerine di cabaret e artiste bohémienne, dall’Europa agli Stati Uniti: l’esposizione mette a nudo attraverso l’umore e il fascino delle fotografie d’epoca gli esordi, ancora riservati alla sfera privata, del movimento femminista e transgender.

Malick Sidibé, Look at me!, 1962
. Courtesy of the artist and MAGNIN-A gallery, Paris.
Malick Sidibé, Look at me!, 1962
. Courtesy of the artist and MAGNIN-A gallery, Paris.

Un’intera sessione del festival è poi dedicata alla cultura Pop in Africa, esplorata attraverso la musica e il cinema. Swinging Bamako, la fabuleuse histoire des Maravillas de Mali ci trasporta in un tempo lontano, quello della Guerra Fredda e dell’indipendenza in Africa, e anche dei primi tempi della World Music. Mentre Cuba faceva tremare gli Stati Uniti, nell’Africa post-coloniale si imponeva l’utopia del “comunismo mondiale”. In questo contesto il gruppo maliano La Maravillas de Mali venne inviato a Cuba, in quella che fu una volontà statale di metissage culturale. Nacque cosi il primo successo virale “afro-cubano”: Rendez-vous chez Fatimata, che fece danzare Fidel Castro e Che Guevara, per poi imporsi come ballo popolare in tutta l’Africa. Le fotografie testimoniano questa epoca di apertura e piena di speranze che, nonostante gli sconvolgimenti politici e i movimenti djihadisti degli ultimi anni, continua a risuonare ancora oggi a Bamako, diventata un ponte e un crocevia essenziale della cultura Pop tra l’Occidente e l’Africa.

From the series ONOMO llywood, Antoine Tempé, Blow Up, Dakar, 2013, projet (re-)Mixing Hollywood. Courtesy of the artist
From the series ONOMO llywood, Antoine Tempé, Blow Up, Dakar, 2013, projet (re-)Mixing Hollywood. Courtesy of the artist

Tearmybras (strappami il reggiseno!) offre invece agli spettatori uno spaccato dell’effervescenza del cinema nigeriano contemporaneo. Attraverso le affiche cinematografiche di Nollywood e le opere dei fotografi nigeriani, l’esposizione attesta dell’influenza del cinema hollywoodiano sulla cultura visiva africana.

Per gli appassionati d’arte contemporanea, Les Rencontres d’Arles presenta le mostre delle sessioni Relecture e Les Plateformes du Visibles propongono diverse opere, tutte frutto di un approccio squisitamente artistico.

Ruth van Beek, The Levitators. Courtesy of the artist
Ruth van Beek, The Levitators. Courtesy of the artist

Dall’errore come soggetto stesso dell’opera (Parfaites imperfections. L’art d’embrasserle hasard et les erreurs), all’oggetto fotografato e messo in scena (Histoire de la misogynie, chapitre un: de l’avortement di Laia Abril), dal kitch (ToiletPaper, Maurizio Cattelan & Pierpaolo Ferrari) alla satira (Hara Kiri Photo), questi lavori attestano della incredibile versatilità del mezzo fotografico, capace di abbracciare storia, etnologia, sociologia, musica, cinema e arte.

Giada Connestari

Les Rencontres d’Arles
Fino al 25 settembre 2016
Arles, Francia

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