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Locarno Film Festival: non solo cinema

Ho avuto la felice opportunità di recarmi a Locarno con la collega Morena Ghilardi; si è presentata così l’occasione di riflettere su identità e differenze rispetto alle arti cosiddette “visive” delle quali sono abituata a rendere conto nella mia riflessione critica. Mi sono immersa in una realtà non troppo conosciuta con la curiosità e la voracità di vedere, di vivere tutte le vite che mi erano concesse, di viaggiare in paesi lontani, al buio, dentro le sale, sprofondata nella mia poltroncina di velluto. Il cinema appaga un bisogno innato, non solo di sentirsi raccontare delle storie, come quando eravamo bambini, ma anche di entrare in esse, farsi protagonisti, sentirne le trame, i suoni, perfino gli odori. Anche quando queste storie sono crude, violente, quando ci lasciano quel senso di vuoto, enfatizzando ciò che già vive e vegeta nei nostri corpi: emozioni, paure, terrori. Al cinema si ride, si piange, ci si eccita, ci si arrabbia. Colpa o merito dei neuroni specchio -pare dai più recenti studi sul cervello- colpevoli della nostra tendenza ad empatizzare.

È questo approccio totalmente immersivo e multisensoriale che fa, a mio avviso, il cinema così unico. Durante i giorni del festival la cittadina svizzera brulica di spettatori che, muniti di mappa e pass, si spostano da una sala all’altra per entrare e uscire da tante dimensioni, luoghi e vite narrate. L’atmosfera è molto diversa rispetto a quella che si precepisce nelle varie biennali che siamo avvezzi a visitare. L’arte cosiddetta contemporanea, è spesso più ostica. Più difficile crearla e ancora più difficile fruirla. Esige impegno, conoscenza, strumenti, codici. Anche se l’arte interattiva sta ribaltando la questione. Il cinema da sempre ci fa attori e protagonisti,  può essere interattivo senza in realtà esserlo, anche se nel  momento in cui lo spettatore “entra” nell’opera, essa è già compiuta, a differenza delle installazioni interattive dove fisicamente e realmente lo spettatore costruisce il processo, cambia i destini dell’opera. Eppure, giocando sul meccanismo di proiezione-identificazione, riesce a compiere il miracolo.

Doug Aikten, Migration, 2008
Doug Aikten, Migration, 2008

 Si assiste oggi all’accelerata concretizzazione di un fenomeno in corso da molto tempo. Le Arti assumono sempre più un’identità composta; si contaminano, si rapiscono, si uniscono, si sfaldano l’una nell’altra. E Locarno, per non smentire la sua vocazione di apertura a trecentosessanta gradi, apre volentieri le porte sul futuro e sull’arte contemporanea. Lo fa appoggiandosi a importanti gallerie e istituzioni di spicco nella ricerca artistica internazionale, tra cui ricordiamo le italiane Marco Noire Arte Contemporanea (Torino) e Monitor (Roma), nella sezione Play Forward.

Play Forward vuole essere, come si legge nel catalogo, l’osservatorio privilegiato aperto a tutti gli esperimenti audiovisivi contemporanei, la cui programmazione riunisce opere intriganti, a volte estreme, al crocevia tra cinema, video e altre forme d’arte.

Questa prestigiosa sezione ha riunito artisti di fama mondiale, da Doug Aikten a Olivo Barbieri, con uno sguardo particolare sulla produzione dell’America latina, sul legame con il documentario e sulla contaminazione musicale presentando Marlene Kuntz vs Fräulein Else, film muto di Paul Czinner (Germania, 1928) musicato dal vivo dal gruppo italiano Marlene Kuntz. Purtroppo, per fruire tutto era necessario fermarsi una settimana e possedere il dono dell’ubiquità. Quello che sono riuscita a vedere è stata la parte dedicata a Le Fresnoy, istituzione francese di formazione artistica e audiovisiva, che presentava una selezione di sei giovani studenti talentuosi con le loro opere tra video arte, cortometraggio e documentario. Sono stati particolarmente poetici quelli degli “stranieri” cioè non francesi o francesi dai cognomi esotici, algerini, sudamericani, che, con modalità formali e simboliche differenti, raccontavano le storie dei loro paesi, delle loro culture. Sempre e ancora storie, sempre e ancora la ricerca dell’origine. Mi piace citare Abena, di Amel Elkamel e Brises, di Enrique Ramirez. Nel primo video, che definirei di animazione, una nonna racconta alla nipote la storia di una particolare coperta e le sue valenze culturali e simboliche, mentre nel video che scorre un gomitolo si snoda e compone continuamente trame e orditi. Nel secondo, struggente e poetico, suoni e parole si accompagnano alla resa della sensazione nel racconto dove una brezza sottile pare evocare e portare via con se i ricordi di una paese segnato profondamente dalla propria storia.

A Locarno mancano i gossip veneziani, i divi e le dive che approdano al Lido con vestiti rilucenti, le pubblicità, i biglietti a prezzi vertiginosi e le madrine in abito da sera: ma la verità è che non mancano a nessuno… e tra specie feline ci troviamo a preferire i ghepardi ai leoni.

Cristina Trivellin

D’ARS year 48/nr 195/autumn 2008

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