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Marlene Dumas alle Stelline

Stefano Ferrari

Quando ha accettato l’invito a esporre alle Stelline, Marlene Dumas non sapeva che l’edificio di corso Magenta un tempo era un monastero e poi un orfanotrofio e che si chiama così dal nomignolo con cui i milanesi chiamavano le bambine che ci abitavano: le stelline, appunto. Dopo averlo scoperto, è andata a spulciare l’archivio fotografico dell’omonima fondazione e quella che doveva essere una galleria di lavori recenti si è trasformata in un intervento ad hoc con nuovi dipinti tratti dalle istantanee recuperate. Per Angels in Uniform, il modello è stata una vecchia foto di classe delle orfane, come quelle che si fanno ancora oggi nelle scuole una volta l’anno, che la Dumas ha copiato sulla tela nel suo tipico stile istintivo di matrice espressionista. Le alunne in camice bianco sono riunite attorno alla maestra.

I volti sono diafani, spettrali, delle maschere deformi; quello dell’istitutrice, che spicca nel gruppetto per il vestito nero, ha un colorito cadaverico e uno sguardo sinistro, angosciante. Sono fantasmi, ombre del passato, angeli in uniforme “che tornano a turbare i sogni dei nuovi abitanti del vecchio monastero-orfanotrofio”, afferma l’autrice delle tele. E i nostri, aggiungiamo noi, mentre le osserviamo e le ascoltiamo. Sì, perché i dipinti di Marlene Dumas non riempiono solo gli occhi, ma anche le orecchie. Urlano, supplicano, piangono. E lo fanno nell’unico modo concesso a un dipinto: dentro la testa di chi lo guarda. Piano piano, inesorabile, sale un lamento, che copre ogni altro suono e che ci accompagna anche fuori, per la strada.

La morte domina anche le altre opere in mostra: le tele dedicate a Pier Paolo Pasolini; l’omaggio alla Pietà Rondanini di Michelangelo; le sei crocefissioni e i due ritratti di Amy Winehouse già esposti nella recente personale Forsaken alla Frith Street Gallery di Londra. Da non perdere il documentario Miss Interpreted (Marlene Dumas) di Rudolf Evenhuis, Joost Verhey e Eugene van den Bosch (1997, 63 min.), che hanno seguito la pittrice per sei mesi durante la preparazione di una personale in Giappone, nel suo studio, al lavoro e mentre chiacchiera con amici, critici e galleristi. La persona che ci si ritrova ad ascoltare non è quella che si potrebbe immaginare dopo aver visto i dipinti in mostra. Marlene Dumas è un donnone sorridente, amichevole, ben disposta a parlare dei suoi lavori, che non sono “solo sofferenza, ma vitalità e bellezza”. Il titolo, gioco linguistico sul verbo inglese to misinterpret, (“interpretare male, fraintendere”), si riferisce alla sua convinzione che la realtà è spesso ambigua e al di là di un’interpretazione univoca. Come la sua pittura.

Marlene Dumas. Sorte
13 marzo – 17 giugno 2012
Fondazione Stelline
Corso Magenta 61 – Milano

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