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Misura, complessita’ e sorveglianza. L’eclettismo dei linguaggi nelle esposizioni romane

Negli spazi romani tre ipotesi discordanti: l’immagine video e il disegno nel lavoro di Maya Zack, gli elementi di interazione e le grandi proiezioni video pubbliche di Rosalen e Marchetti, le foto da web streaming di Gaialight sono tre modi di affrontare la visualizzazione con mezzi nuovi, come le scansioni interattive, o classici, come il disegno a matita. La convivenza di queste forme nelle mostre romane riapre il dialogo (o il problema) su come i vari linguaggi vengono utilizzati nel più eclettico dei momenti della storia dell’arte.

Maya Zack, Mother Economy Still da video
Maya Zack, Mother Economy
Still da video

Maya Zack: “Made to Measure / videos and drawings”

Una giovane artista israeliana, Maya Zack, alla Galleria Marie Laure Fleisch di Roma, con una mostra che mischia video e disegni. La pratica della sovrapposizione di diversi media in una mostra è ormai cosa stabilita, così come l’affiancarsi di specifici diversi che si negano a vicenda e diversificano gli obiettivi di interpretazione, o piuttosto i punti di vista di una stessa idea. In questo caso il rapporto fra i video e i disegni è efficace, essendo i video il “disegno” di una situazione mentale. Il disegno o piuttosto la scrittura. Infatti nei video il disegno della realtà, la sua investigazione, è espressa attraverso una serie di azioni di ricerca, di indagine, di trascrizione, un inesauribile dizionario di informazioni troppo ricco alla fine per essere utilizzato. In forme diverse ambedue i video mettono in scena lo svuotarsi dei processi della memoria e l’ineliminabilità degli stati psicologici negativi, l’affondare dei tentativi di razionalizzazione nella compattezza della materia: cibo, deiezioni, corpo. Compattezza e pesantezza che viene combattuta con gli strumenti culturali delle misurazioni, delle matematiche, delle geometrie, di tutti gli strumenti fra razionalità e ragione, misura e cultura possono affrontare il dato organico e il suo trascinare con sé la storia. Ma tutta la cultura non trova rimedio ai problemi e agli interrogativi accennati.

L’atmosfera enigmatica e letteraria dei video dà loro una qualità narrativa piuttosto insolita nell’uso del medium in questo momento, confermata dai disegni che dialogano con l’immagine in movimento, disegni che sono, raggelati, possibili personaggi dei racconti che abbiamo visto svolgersi. Una figura di donna distesa, simile a un identikit della scena di un omicidio, sembra misurare la macchia di sangue uscita dalla sua bocca. Un uomo (ugualmente disteso) sembra misurare i tempi della propria morte.

Niente è come sembra e tutto va riconsiderato, tempo, memoria, spazio, corpo. In questo lavoro originale la vitalità del linguaggio contrasta con il pesante senso di angoscia, con l’invadente senso di disagio che lo caratterizza, e che apre uno scorcio interessante sulle culture visive in Israele oggi.

Rachel Rosalen e Rafael Marchetti Terrotprops Complexos 2334S 4639W
Installazione interattiva
Galleria Ambasciata Brasiliana, Piazza Navona

“Territorios Complexos 2334s 4639w”,

“Socket Screen”.

Video, ma di tutt’altra natura, anche nella mostra della brasiliana Rachel Rosalen e dell’argentino Rafael Marchetti all’Ambasciata del Brasile in Piazza Navona. “Territorios Complexos” e “Socket Screen” sono lavori paralleli operanti sulle coordinate dei New Media e investigano  tematiche dello spazio e della sua percezione. Il primo lavoro esamina l’Avenida Paulista, la storica strada che attraversa San Paolo in Brasile e su cui si concentrano i sistemi di comunicazione, trasporto ed economia di una città enorme. Partendo da un assunto di De Saussure per cui “non ci sono città ma situazioni urbane”, San Paolo viene rappresentata attraverso una serie di scansioni, mappizzazioni, rilevazioni attraverso dispositivi Gps, telecamere, registrazioni sonore ecc… Si tratta di investigare una nuova cartografia, una cartografia che sfugge alle rappresentazioni simboliche a cui sono sempre soggette le visualizzazioni e che attraverso ogni nuovo dispositivo prendono nuove caratteristiche. Questo pone al centro dell’attenzione il problema di come i data-bank così assemblati contribuiscano alla creazione di visualizzazioni innovative e diverse rispetto alle cartografie tradizionali.

Invece “Socketscreen” viene presentato in una serata/evento con una grande proiezione  sulla facciata dell’ambasciata del Brasile in Piazza Navona. Il procedimento per coinvolgere il pubblico è complesso: attraverso lo smartphone si scelgono parole-chiave, queste parole generano immagini linkandosi al web dove vengono generate in tempo reale nella rete. Su questi materiali si potrà poi (attraverso il touch-screen) manipolare ancora le immagini, mischiandosi con le altre immagini create dagli spettatori. Il risultato è una composizione “random” di testi, segni e immagini che gioca in questo caso con il contrasto con le architetture rinascimentali e barocche della storica piazza. Si persegue l’obiettivo dei linguaggi digitali di creare una sintesi fra gioco e estetica, fra pubblico e privato, fra tecnica e espressività, fra mentale e matematico.

“Mass Surveillance”

Fra le gallerie che si linkano con il Festival della fotografia, e in particolare con la sua sezione digitale, la Galleria Edieuropa Qui Arte Contemporanea presenta un lavoro di Gaialight sulle webcamere di sorveglianza. La rilevazione di riprese fatte attraverso le telecamere di sorveglianza ha predecessori significativi nei lavori video degli anni 70 e 80, Bill Viola utilizza  i monitor a circuito chiuso di una banca, il tedesco Michael Klier utilizza un montaggio di telecamere di sorveglianza collocate in banche, parking, supermarket e altri punti caldi della città. Tutta la videoarte di quegli anni, Nam June Paik in testa, è ben cosciente del rovescio della medaglia delle possibilità del video, cioè la sua capacità di controllo. “Mass Surveillance” segue queste piste oggi spostate sulla rete e va a raccogliere immagini negli infiniti video-streaming che sono oggi accessibili. Il tempo-continuo permesso dalle web camere pone il problema della scelta, la scelta avviene attraverso foto scattate sui video, raccogliendo così direttamente dalla rete le immagini della sorveglianza. Per scoprire che tutto è sorvegliato. Le foto, a bassa definizione come i video fotografati, sembrano consumate dal flusso d‘informazione da cui nascono. Da Wikipedia il migliore commento: “Surveillance è molto utile ai governi per mantenere il controllo sociale, per riconoscere e monitorare le minacce e prevenire…i governi posseggono ora una possibilità senza precedenti di monitorare le attività dei loro soggetti…”.

Pure, come ogni paesaggio, anche il paesaggio della sorveglianza nella sua impassibilità crea momenti inaspettatamente “estetici”. La stessa bassa definizione delle immagini sottolinea le qualità tipiche della foto contemporanea: casualità, estraneità, freddezza.

Lorenzo Taiuti

D’ARS year 52/nr 212/winter 2012

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