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Paola Di Bello: la fotografia a 360 gradi

Milano Centro, il progetto realizzato per il Museo del Novecento da Paola Di Bello, reinterpreta attraverso la fotografia il ruolo dei luoghi contenitori d’arte. La trasformazione abbraccia il concetto stesso di Museo che diviene spazio di interazione e collegamento.

Fotografia di PAola Di Bello
Paola Di Bello, Ora e Qui, 2016 (Museo del Novecento). Courtesy the artist

L’operazione, apparentemente semplice, parte da un uso della fotografia che gira l’obiettivo verso l’esterno del Museo; le immagini in esposizione di Paola Di Bello ritraggono la vita che scorre fuori, la città e le sue luci di giorno e di notte, la gente che transita in piazza del Duomo e nelle strade che delimitano l’edificio.  Questa è solo una parte del progetto che richiama a sua volta, ricambiandoli, gli sguardi di quanti dalla piazza e dalle strade vorranno spingersi fin dentro le collezioni e le esposizioni del Museo.

In questo modo l’utilizzo del mezzo fotografico va ben oltre ciò che l’obiettivo offre; spostandosi, si apre a una visione a 360 gradi che non è propria della fotografia, o degli spazi chiusi, e nel contempo permette di vedere i luoghi attigui al Museo del Novecento, nella luce diurna e notturna insieme. L’effetto è ottenuto memorizzando sullo stesso fotogramma due differenti archi temporali. Nasce così l’installazione Ora e Qui per la Sala Fontana.

paola di bello fotografia
Paola Di Bello, Ora e Qui, 2016 (via Dogana). Courtesy the artist

Due operazioni dunque che spingono oltre sia lo spazio che il tempo utilizzando come opportunità quelli che di solito vengono considerati i limiti dell’obiettivo. Il museo può essere considerato normalmente come un contenitore di immagini, visioni, storie – ha spiegato l’artista. Io l’ho voluto trattare come un corpo che guarda fuori, la città, il luogo in cui si trova.

Per Paola Di Bello, dunque, la fotografia, la macchina fotografica e l’obiettivo, sono elementi attraverso cui andare oltre l’ordinario. La capacità di concettualizzare e fare ricerca, oltreché l’osservazione della realtà, le permettono di realizzare immagini al di fuori delle abitudini visive. Nascono, con questi presupposti, i lavori esposti fino al 12 marzo al Museo del Novecento. La mostra, a cura di Gabi Scardi, parte con L’enigma dell’ora nella sezione del paesaggio, poi inizia l’esposizione vera e propria con Espece d’espace, Eclisse 3254, Framing the Community, Concrete Island, le Strip del quartiere Isola e del corso Buenos Aires, Video-Stadio e il nuovo progetto Ora e Qui e si conclude con l’installazione nella Sala Fontana con gli ingrandimenti su pellicola incollati alle vetrate. Singolare Framing the Comunity, dove la relazione tra i cittadini e gli edifici o i quartieri in cui vivono, riorganizza visivamente il luogo trasformandolo da globale a locale, da spersonalizzante a piacevole, da metropolitano a di quartiere, da pubblico a privato.

6.PaolaDiBello_Concrete Island res.1996-2001 (tavolo) Courtesy the artist
Paola Di Bello, Concrete Island, 1996-2001 (tavolo). Courtesy the artist

Nel mio lavoro – afferma Paola Di Bello – cerco sempre uno sguardo acuto, mai mutevole. Sono i progetti che spaziano nell’ambito del contesto urbano, che per me è anche una buona metafora per intendere il contesto in cui vive l’uomo nella società attuale. Sono i progetti che guidano i risultati, e dunque lo sguardo. Non mi interessano “i generi” della fotografia o dell’arte, mi interessa un atteggiamento. Cerco di essere analitica ma, di volta in volta, piego il mio sguardo alla complessità.

Tra i suoi maestri l’artista annovera principalmente il padre Bruno, col quale ha lavorato come assistente tra i 16 e i 26 anni. Pittore di formazione, ha iniziato a produrre tele fotografiche negli anni ’60. Negli anni ’90 viene folgorata dai romanzi di Georges Perec, che insieme a Italo Calvino e Raymond Queneau hanno dato vita ad un’estetica per lei fondamentale. Dalle sue teorie sull’infra-ordinario e su un certo modo di descrivere la vita e la città nasce il lavoro La disparition. Ma viene ispirata anche da fotografi come Ugo Mulas e Franco Vaccari,  così come dal primo Luigi Ghirri concettuale. Ancora oggi, quando leggo agli studenti i loro scritti mi commuovo e sento che c’è davvero un pensiero importante italiano degli anni ’70 che purtroppo non è conosciuto all’estero e che oggi ci penalizza come artisti. Pensieri che hanno dato vita all’arte relazionale, per esempio, o a tanti modi di concepire il progetto artistico vicino alle tematiche della “sparizione dell’autore”, o alle istanze della “public art”.

Il Museo del Novecento nell’allestimento di Milano Centro, rispecchia l’idea di interazione del Museo con ciò che è fuori e viceversa della Piazza con il Museo. Le foto poste in sequenza sui muri bianchi somigliano a squarci su ciò che è fuori e viceversa le foto stampate su pellicola e inserite sulle vetrate della Sala Fontana sembrano delimitare l’ampio sguardo sulla Piazza facendola entrare, con i dettagli che raccontano, nel Museo. L’osmosi operata attraverso lo sguardo di Paola Di Bello sembra esattamente attuarsi e per un istante dentro e fuori sembrano respirare allo stesso ritmo. Un bell’agire artistico per la fotografia.

Patrizia Varone

Milano Centro, fotografie di Paola Di Bello
a cura di Gabi Scardi
Fino al 12 marzo 2017 – Museo del Novecento, Milano

 

 

 

 

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