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Parigi, in giro per la FIAC

Appuntamento ormai istituzionalizzato, per la quattordicesima volta sono stato alla FIAC, la Fiera Internazionale d’Arte Contemporanea di Parigi. Il Grand Palais ha accolto una rappresentanza di gallerie (191, per chi ama le cifre) di tutto il pianeta, tra grande salone del piano terra e logge di servizio oggi deputate ad accogliere le gallerie emergenti, più prosaicamente, quelle che non si possono permettere le tariffe del salone principale. Ho iniziato la mia visita proprio dalle piccionaie e mi sono ritrovato a confrontarmi con uno spaccato sociologico che rispecchia più che mai la situazione economica attuale. Una mancanza pressoché assoluta di idee, una rincorsa a scopiazzare quelle che in passato hanno funzionato unita a una scarsità lessicale e qualitativa delle “opere” esposte mi hanno fatto velocemente convenire con la definizione di indigenza artistica balenata da un collega incrociato durante la visita. Eccezion fatta per la dinamica rappresentazione del divenire nella macchina-scultura (sic) di Philippe Mayaux o gli schermi cinematografici di Jean-Baptiste Bernadet, che propone all’osservatore uno specifico codice di interpretazione delle impressioni.

Coinvolto mio malgrado in un percorso iniziatico all’inverso, per uscire “a riveder le stelle” sono dovuto tornare al livello del parterre. Ed ecco sorgere in (quasi) ogni stand gli astri del firmamento artistico temporaneamente atterrati nella vetrina del dover esserci. A talenti conclamati come Anish Kapoor, Roni Horn, Tony Cragg, si affiancano nomi passati alla ribalta in tempi più recenti quali la marocchina Latifah Echakhch – vincitrice del premio Marcel Duchamp nel 2013 – il danese Olafur Eliasson – presente fra l’altro con un’installazione nella neo-aperta Fondation Louis Vuitton – o ancora il francese di origine algerina Kader Attia, fautore di un processo di ricomposizione delle fratture che compongono lo scenario contemporaneo.

The new planet, Olafur Eliasson, 2013, stainless steel, aluminium, coloured glass, paint (black, yellow) halogen, 94,9 x 95,1 x 201 cm. Olafur Eliasson and neugerriemschneider, photo credit: Jens Ziehe. Representé par: neugerriemschneider
The new planet, Olafur Eliasson, 2013 stainless steel, aluminium, coloured glass, paint (black, yellow) halogen 94,9 x 95,1 x 201 cm Olafur Eliasson and neugerriemschneider. Photo credit: Jens Ziehe. Representé par:neugerriemschneider

Sto parlando con una gallerista quando il vociare interrompe ogni altra attività: uno stuolo di bodyguard delle grandi occasioni mi offre il privilegio di essere non troppo gentilmente allontanato al passaggio di Manuel Valls e Fleur Pellerin, rispettivamente attuali Primo Ministro e Ministro della Cultura. Et voilà, il cocktail è perfettamente riuscito: la giustapposizione tra il mondo a 5/6 zeri e l’arte in via di sviluppo dei piani alti appena visitati viene sancita dall’ufficialità della situazione: per la terza edizione consecutiva il mercato di punta esautora i giovani artisti emergenti, confinandoli ai saloni off. Primo fra tutti (Off)icielle, organizzato ufficialmente dalla FIAC stessa come estensione del salone.

Yuan Gong, Digression 1, 2013 © Yuan Gong/TAC
Yuan Gong, Digression 1, 2013 © Yuan Gong/TAC

In questa sede ho scoperto i lavori di Yuan Gong, artista cinese classe 1961 che si pone come commentatore disincantato di una commercializzazione dei sentimenti che non sembra conoscere limiti temporali né culturali. Prolugamento ideale della già testata e riuscita formula “Hors les murs” (fuori dai muri), installazione di sculture en plein air nei Jardins des Tuileries (dal 2006) e nel Jardin des Plantes (dal 2011) passando per quella Place Vendôme (dal 2012) che non rimarrà tra i migliori ricordi di Paul MCCarthy, per il momento l’esperimento (Off)icielle non mi è parso andare a buon fine. Tralasciando i problemi logistici e organizzativi della prima volta, l’accozzaglia di 68 gallerie riunite alla Cité de la Mode et du Design mi ha lasciato perplesso, non foss’altro che per la disomogeneità dell’offerta proposta.

Sinusoïdons, Philippe Mayaux, 2013 Acier, sable, résine et moteur 120 x 120 x 90 cm Courtesy galerie Loevenbruck, Paris. ©ADAGP, Paris. Photo Fabrice Gousset
Sinusoïdons, Philippe Mayaux, 2013, acier, sable, résine et moteur, 120 x 120 x 90 cm. Courtesy galerie Loevenbruck, Paris. ©ADAGP, Paris. Photo Fabrice Gousset. Representé par: Loevenbruck

Si iscrivono nella stessa direzione di una mediocrità tutt’altro che aurea gli altri 2 saloni consacrati agli emergenti, Slick – giunto alla sua nona edizione – e YIA (Young International Artists, quarta edizione). E dissento profondamente da chi individua la ragione della povertà di questi saloni nella crisi (e/o sue conseguenze) piuttosto che in una mancanza di creatività o simili. Se soltanto alcuni di questi galleristi “minori” orientasse il proprio talento verso la valorizzazione di chi ha davvero un contributo da apportare al mondo dell’arte anziché verso finalità di carattere biecamente commerciale…

Danilo Jon Scotta

(Didascalia immagine in apertura: Portrait of an Image (with Isabelle Huppert), Roni Horn, 2005. Photographs, 38.1 x 31.8 cm / 15 x 12 1/2 in each. 50 parts. Hauser & Wirth. Representée par:Hauser & Wirth.)

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