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Renato Barilli: opera o comportamento?

Renato Barilli è il curatore di Comportamento. Padiglione Italia. Biennale di Venezia 1972 presso il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato. Un concentrato di opere che ci portano a riflettere sul senso dell’arte attraverso una prospettiva “ampliata” che ne mette in discussione certezze e definizioni

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Renato Barilli e Gino de Dominicis all’inaugurazione del Padiglione Italia alla Biennale del 1972 © AAF – ArchivioArte Fondazione Cassa di Risparmio di Modena

Ripercorriamo gli anni 70 insieme a Renato Barilli, grazie ad una mostra che vuole trasmetterci tutta l’energia e la voglia di cambiamento che l’arte italiana stava vivendo in quel periodo. L’intenzione di esprimere, attraverso concetti personali, il sottile filo che lega l’arte alla metamorfosi, era prorompente. I poveristi e gli informali sono stati i protagonisti di questo nuovo modo di pensare, lontano dall’estetica e dettato da “sensazioni forti”.

La voglia di uscire dal quadro, abbandonare il concetto di rappresentazione formale e trovare un contatto più diretto con l’oggetto, sono stati gli elementi fondamentali che hanno trovato in Renato Barilli un sostenitore senza indugi. Oggi, come allora, le cose non sono cambiate. Barilli rimane il paladino di un concetto di arte che rifiuta le categorizzazioni e che si mescola continuamente con la vita.

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Luciano Fabro, Penelope. Inaugurazione del Padiglione Italia, 1972.

La mostra al Centro Pecci di Prato curata proprio da Renato Barilli ne è l’esempio vivente. Siamo davvero pronti ad abbandonare i pregiudizi e le morali? Questa è la domanda centrale che dobbiamo porci mentre la visitiamo. Ma facciamo un passo indietro. Nel 1972 Renato Barilli (Bologna, 1935) curò presso il padiglione Italia della Biennale di Venezia, Opera o comportamento. Artisti appartenenti a generazioni differenti furono messi a confronto scatenando la critica e il pubblico. Il titolo lasciò dubbi sul destino dell’arte, in bilico tra il suo essere “statica” attraverso dipinti e sculture o “espansa” attraverso la gestualità degli artisti. Oggi, nel 2017, Barilli cura, al centro Pecci di Prato, Comportamento. Più che una ricostruzione filologica di quella parte del padiglione centrale, la mostra vuole suggerire da una parte il senso del lavoro di alcuni artisti, dall’altra riportare alla luce le vicende organizzative e critiche di quell’evento.

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Mario Merz, Objet Cache-Toi, 1968. Courtesy of Kunstmuseum Wolfsburg © VG Bild-Kunst, Bonn 2017

Gino De Dominicis, Luciano Fabro, Mario Merz, Germano Olivotto, Franco Vaccari furono – e sono ancora oggi – i pionieri coraggiosi che affrontarono la morte dell’opera d’arte legata alla tradizione dei mezzi di espressione. La pittura è sostituita dai nuovi media tecnologici, fautori della svolta. La fotografia si sviluppa nel video, l’installazione di oggetti reali e concetti creano opere ibride, le combinazioni di tecniche differenti e il ricorso al corpo stesso dell’artista sono le condizioni imprescindibili del cambiamento e del comportamento. Le azioni sostituiscono la materia, non esiste più l’oggetto d’arte ma la sua essenza. Nelle quattro sale allestite nell’edificio Pecci abbiamo proprio questa sensazione.

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Germano Olivotto, Sostituzione a Mestre (dettaglio), 1972. © Germano Olivotto

Accanto alle opere originariamente esposte ve ne sono di analoghe che stabiliscono con queste un dialogo affascinante, sostituendone a volte l’essenza come nel caso delle fotografie di Mulas che rimandano ai preziosi piedi di murano di Fabro, quasi impossibili da replicare. Articoli, filmati, materiale fotografico e testi pubblicati completano l’esposizione.

Una mostra “differente” che ci racconta l’arte degli anni Settanta attraverso la prospettiva del cambiamento. Uno sguardo sincero su quel panorama artistico che, oggi come allora, prende le distanze dal concetto di arte sublime e ne sottolinea invece il carattere estremamente democratico. Siamo di fronte ad un concetto diverso di definire l’arte e la produzione di oggetti artistici. Questi, infatti, non hanno bisogno di essere venerati ma sentono l’esigenza di stabilire con l’osservatore e l’ambiente un contatto immediato, semplice e diretto. Esteticamente banali ma mai scontati, queste opere appartengono al popolo, al pubblico, a tutti noi. L’aura dell’opera d’arte sublime è sostituita da un concetto che la impoverisce sino a renderla un archetipo.

Flavia Annechini 

Comportamento, Biennale di Venezia 1972. Padiglione Italia
a cura di Renato Barilli
6 maggio/24 settembre 2017
Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, Viale della Repubblica, 277, Prato

 


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