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Terre Vulnerabili. Il quarto

All’Hangar Bicocca non è mai troppo tardi per salire a bordo: dal 2 febbraio al 10 marzo 2011 il viaggio di Terre Vulnerabili continua, nella seconda tappa delle quattro complessive, senza sostituire le opere della prima, ma semmai sviluppandole affinché possano interagire con i nuovi lavori. Interrogare ciò che ha smesso per sempre di stupirci è il filo conduttore dei progetti nati o riadattati per la vita simbiotica nell’immenso spazio milanese che presidia i Sette Palazzi Celesti di Anselm Kiefer, simbolico cammino d’iniziazione spirituale che invece mai smetterà di provocare quella doppia sensazione di stupeur et tremblements[1], dovuta alle sue dimensioni monumentali, alla scelta dei materiali e alla cosmologia mistica che idealmente le sostiene.

Bruna Esposito, Sotto Terra Vulnerabili Terre Moti, 2011
Bruna Esposito, Sotto Terra Vulnerabili Terre Moti, 2011

Tra i nuovi interventi, due opere diventano la metafora concreta dell’esistenza di Terre Vulnerabili, per l’idea fondamentale della collaborazione tra gli artisti prima/durante/dopo la mostra: quella di Yona Friedman, che costruisce Une ville spatiale pour artistes, ovvero un labirinto che, oltre a rappresentare un’installazione di per sé, si propone come contenitore per altri lavori, il primo dei quali è Der taukpunt (punto di rugiada[2]), video di Margherita Morgantin, girato nel deserto della Namibia e dedicato al posizionamento di strumenti di rilevazione della radiazione solare. L’altra opera “contenitore” è Appunti di viaggio di Adele Prosdocimi, un lungo tappeto composto da 102 riquadri di feltro, sul quale l’artista ha ricamato una selezione di parole e frasi: espressioni nate durante gli incontri tra curatori e artisti che hanno preparato il terreno all’inaugurazione delle diverse sessioni espositive che vogliono modificarsi strada facendo, come recita il filo di cotone su una di queste pagine di feltro, evocanti i vecchi tappeti dei popoli nomadi come esperienze accumulate nei diversi spostamenti da un luogo all’altro.

Le Terre Vulnerabili, che fanno interagire gli artisti, sono anche quelle che per esistere pienamente hanno una viscerale necessità di de-costruire. Base di partenza del gruppo Invernomuto è la grotta di Lourdes a Vernasca, nel piacentino: il rito dell’opera consiste prima nella riproduzione in cera di quel paesaggio appartenente alla cultura popolare, per farlo rinascere eliminando la componente grottesca dell’originale, poi nel suo scioglimento attraverso il calore della luce, evento che si verificherà nel corso della mostra. È evidente che Wax, Relax, la grotta in cera, non può durare perché è già essa stessa copia di un paesaggio artificiale. Punto di vista irreale è anche l’installazione di Carlos Garaicoa, La camera oscura, in cui sono protagoniste le pagine dei quotidiani: l’artista lavora sulla comunicazione, azzerando i testi, risparmiando solo il titolo delle testate e mettendo in evidenza la forza di certe immagini: a detta dell’autore, l’opera rappresenta la visione di un solo essere umano al quale per un giorno è stato fornito il potere di controllare l’informazione che tutto un Paese riceve.

"Carlos

Vulnerabili sono anche le opere che attraverso se stesse trovano la forza di esorcizzare paure e ricordi, perché all’apparenza ciò che emerge è il senso di pace che le accompagna. Nel buio dell’Hangar Sotto terra vulnerabili terre moti è l’installazione di Bruna Esposito, un lavoro contemplativo dedicato a chi è sotto terra: candele votive, piccoli oggetti, sacchi con la funzione di cuscini, fanno da cornice al video di una bandiera bianca che sta naufragando in fondo al mare. Su una spiaggia della Corea del Sud, Kimsooja riflette invece sul problema delle sostanze radioattive emesse dalla vicina centrale nucleare di Yeong Gwang: Architecture of Vulnerability è la proiezione di tredici fotografie che trasmettono l’immagine di una terra all’apparenza affascinante ma con ferite lancinanti, rappresentate da buchi e grumi di sabbia che l’artista porta in primo piano.  Nico Vascellari con Untitled (86 94 11) realizza un video in omaggio a un personaggio suo conterraneo, di nome Tiberio, che ha partecipato alla Corridadi Corrado imitando con la voce il rumore dei fuochi d’artificio della sagra di Vittorio Veneto, come tentativo di liberazione dal ricordo delle esplosioni vissute in prima persona durante la seconda guerra mondiale  L’artista, che da bambino aveva vissuto una paura simile scambiando i fuochi per bombe, cerca la catarsi riprendendo uno spettacolo pirotecnico organizzato in un edificio distrutto dalla guerra, con la telecamera in movimento in mezzo alle esplosioni: la voce fuori campo che simula i fuochi artificiali è proprio quella di Tiberio. Due traumi vicini che nel video sono indissolubilmente legati, resi visivamente dal nastro che esce dalla cassetta collocata a un lato dello schermo per raggiungere il muro all’altra estremità e tornare indietro.

Se quello di Terre Vulnerabili è un viaggio, chi ci permette di orientarci e di trovare la direzione? La bussola di tutta la mostra è rappresentata dall’opera di Remo Salvadori, intitolata Non si volta chi a stella è fisso: una stella in marmo bianco, collocata a terra nel punto più energetico dell’Hangar, vulnerabile perché sta sulla soglia tra i due ambienti principali, è il simbolo, oltre che del viaggio, di un concetto espresso dall’artista in riferimento all’opera e applicabile a tutta la mostra – dobbiamo dare tempo al marmo di diventare marmo – che ci invita ad attendere che le opere compiano la propria evoluzione, stando attenti ai ritmi sottili che le guidano e le rendono uniche proprio perché collocate in quello spazio.

Valentina Tovaglia

D’ARS year 51/nr 205/spring 2011

 


[1]  Titolo del romanzo di Amélie Nothomb, Stupeur et tremblements (Stupore e Tremori)

[2] Indicatore della temperatura a cui deve trovarsi l’aria per condensare in rugiada, con pressione costante.

 

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