La rivista nel 2022 è stata trasformata in archivio di contenuti.

Terre vulnerabili

Nello scorso numero di D’ARS abbiamo anticipato il concept programma espositivo che, da ottobre 2010, coinvolgerà l’Hangar Bicocca di Milano fino a giugno 2011: Terre Vulnerabili, un progetto Chiara Bertola curato con Andrea Lissoni, pensato come una sequenza di quattro appuntamenti, o astronomicamente parlando, quattro fasi lunari che, nel loro alternarsi, portano con sé opere site specific o comunque adattate per rinascere nello spazio dell’Hangar. Trenta artisti si sono resi disponibili alla condivisione di esperienze e progetti per costruire un ambiente vulnerabile come un organismo vivente, che per crescere richiede l’interazione costante tra le parti, oltre che la cura degli artisti ed il dialogo con il pubblico. Ackroyd & Harvey, Mairo Airò, Stefano Arienti, Alice Cattaneo, Elisabetta Di Maggio, Ra di Martino, Yona Friedman, Alberto Garutti, Gelitin, Mona Hatoum, Christiane Lohr, Ermanno Olmi e Hans Op De Beeck sono gli artisti del primo quarto di questa growing exhibition che racchiude nel concetto di vulnerabilità anche quello di una responsabilità dell’uomo nei confronti dell’ambiente e della comunità in cui vive.

Due opere in particolare sono state segnalate come espressione dell’etica di Terre Vulnerabili, soprattutto per la volontà di evidenziare la fragilità degli ecosistemi che interagiscono sul nostro pianeta. La prima è il film documentario Terra Madre di Ermanno Olmi, che racconta, su una trama costituita da immagini del forum mondiale che porta lo stesso nome del film e che si è svolta a Torino nel 2006, preziose testimonianze – come la tradizione della custodia dei semi del riso in una regione del Nord dell’India e l’inaugurazione della Banca Mondiale dei Semi alle Isole Svalbard – che vogliono focalizzare l’attenzione sull’emergenza cibo, rendendo i cittadini di tutto il mondo consapevoli della necessità di rispettare il proprio paesaggio e il lavoro secolare dell’uomo. In una battuta, pronunciata da un bambino, è racchiuso il significato di tutto il film: Niente api, niente ciliegie… Niente frutta, niente uomo… Niente ciliegie, niente bambini.

Ackroyd & Harvey, Testament, 1998-2000
Ackroyd & Harvey, Testament, 1998-2000

La seconda opera è la video animazione dell’architetto ungherese Yona Friedman, La terra spiegata a visitatori extraterrestri, ovvero una rappresentazione a fumetti della vita sul nostro pianeta. L’uomo sa distinguere le cose, è in grado di dare loro un nome e di contarle; sa creare delle convenzioni per comunicare all’interno della società. E così crea per comodità il proprio mondo artificiale distruggendo l’equilibrio di quello naturale, sfruttando la terra, le piante, gli animali, gli oceani, disperdendo energia, pensando di essere nel giusto. Friedman arriva alla conclusione che sono le emozioni a guidare gli uomini nelle loro azion, ritenendole l’unica strada verso la felicità.

Un’opera che vive sulla propria pelle la condizione di vulnerabilità della natura è quella di Dan Harvey e HeatherAckroyd, Testament, trattandosi di un’installazione realizzata con erba, argilla e acqua e passata attraverso una fotografia bio-chimica. Gli artisti hanno proiettato per una settimana il negativo dell’immagine di un uomo anziano su un prato verticale che copre una sezione di parete dell’Hangar, sfruttando la fotosensibilità della clorofilla. Il positivo, ovvero la traccia lasciata dalla proiezione sulla superficie fitta dell’erba, risulta essere un chiaroscuro nei toni del giallo e del verde che gradualmente e inesorabilmente è destinato a morire essendo costituito da materia organica. Questo testamento trasferito sull’immagine di un vecchio, che porta sul volto i segni del tempo come se fossero i solchi della terra, è un ulteriore grido di allarme per una natura soggetta allo sfruttamento da parte dell’uomo.

Un senso di pericolo si avverte anche nell’opera Web di Mona Hatoum, una grande installazione appesa al soffitto come fosse una ragnatela, costruita con cavi di metallo e sfere di cristallo, che cattura, senza più restituire, tutto quanto ruota all’interno della propria orbita. Un meccanismo simile a quello dell’acchiapasogni, oggetto nato tra i nativi americani sulla cui origine si intrecciano diverse leggende: all’interno della tribù Lakota si racconta che Iktomi, dio dell’inganno e della prudenza, dopo aver fatto un buco in un salice, inserendovi piume, pelo di cavallo e perline nelle sembianze di un ragno, iniziò a tessere la sua ragnatela come un cerchio perfetto che avrebbe dovuto aiutare gli uomini a raggiungere i propri obiettivi, trattenendo le idee buone e lasciando perdere le cattive attraverso il buco. In questa direzione, l’installazione di Mona Hatoum, nello spirito di Terre Vulnerabili, si mette a disposizione di un pubblico chiamato a farsi consapevole della fragilità dell’ambiente e disponibile ad un confronto nella ricerca di soluzioni alternative, discernendo tra quelle più e meno buone. Perché, come sostiene Yona Friedman, con la frase che ha dato il titolo alla prima mostra, Le soluzioni vere vengono dal basso.

Yona Friedman, La terra spiegata ai visitatori extraterrestri Videoanimazione 2010
Yona Friedman, La terra spiegata ai visitatori extraterrestri
Videoanimazione 2010

Con Terre Vulnerabili l’arte si fa veicolo di diffusione delle attuali emergenze ecologiche, come il degrado delle risorse naturali, la perdita della biodiversità, lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili con la conseguente necessità di aumento di quelle rinnovabili, l’inquinamento, i cambiamenti climatici. Oggi i confini tra i due ambiti sono intrecciati al punto che in una zona dall’ecosistema fragile e a costante rischio siccità come Los Angeles, nei pressi del lago Ivanhoe, un bacino artificiale che serve oltre 600mila persone, un’innovativa soluzione per salvare l’ambiente – tre milioni di bird balls, sfere di plastica nere galleggianti che ricoprono l’intera superficie del lago per evitare pericolose reazioni chimiche causate dalla luce del Sole  può essere scambiata per un’operazione di land art.

Valentina Tovaglia

D’ARS year 50/nr 204/winter 2010

share

Related posts