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W. Women in Italian Design, l’altra metà del progetto

W. Women in Italian Design : la nona edizione del Triennale Design Museum con la mostra dedicata al design italiano declinato al femminile, quest’anno giunge in concomitanza non solo con il Salone del Mobile, ma anche con un evento di grande rilevanza che ritorna dopo vent’anni di assenza: la XXI Esposizione Internazionale della Triennale di Milano, intitolata 21st Century. Design After Design.

 

Tra la miriade di progetti espositivi che compongono il fitto programma di questa ritrovata kermesse (20 mostre distribuite in 12 sedi cittadine, senza contare tutti gli eventi collaterali), quello del Triennale Design Museum spicca in particolar modo sia per la spinosa tematica affrontata sia perché offre uno spaccato della storia del design italiano peculiare e non scontato. Quest’anno, infatti, il museo ha scelto di raccontare il design italiano dal punto di vista femminile e di riflettere, e far riflettere, sulla questione del genere partendo dal presupposto che non si può immaginare un “design dopo il design” senza prima aver fatto luce su un dato incontrovertibile: l’oscuramento operato nei confronti della progettualità femminile del ‘900.

W. Women in Italian Design allestimento mostra © Gianluca Di Ioia - La Triennale_0
W. Women in Italian Design allestimento mostra © Gianluca Di Ioia, La Triennale

W. Women in Italian Design, curata da Silvana Annicchiarico e allestita mirabilmente dalla scenografa Margherita Palli, parte da questa marginalizzazione per tracciare un’inedita storia del design italiano declinato al femminile, restituendo valore a tantissime personalità e ricerche immeritatamente dimenticate. Al paradigma patriarcale che ha dominato il secolo scorso, affianca una visione meno stereotipata e rigida, puntando l’attenzione su quella che potremmo definire l’altra metà del progetto – per richiamare una celebre mostra curata all’inizio degli anni ’80 da Lea Vergine.
Ecco perché W. Women in Italian Design non è l’elogio delle solite signore note del design, ma è una mappatura estremamente sfaccettata, stratificata e in parte inaspettata, che presenta al pubblico oltre 600 tra oggetti, manufatti e progetti di più di 350 creative.

 

Elisabetta Gonzo-Alessandro Vicari, Rosemary's, 2000, Galleria Luisa Delle Piane
Elisabetta Gonzo, Alessandro Vicari, Rosemary’s, 2000, Galleria Luisa Delle Piane

Intrecciare, proteggere, procreare, rappresentare e riflettere sono i verbi guida che accompagnano il visitatore lungo la mostra, la quale si apre suggestivamente “sotto il segno di Penelope”, con una sala dedicata alle azioni del tessere e dell’intrecciare. Uno spazio in penombra dall’atmosfera onirica, che fa pensare immediatamente a un ventre, una caverna magica dove lo sguardo si perde tra ricami, merletti e tessuti, perlopiù sospesi. Al centro della sala l’accogliente Tenda creata nel 1965 da Carla Accardi, tutt’intorno come pianeti le altre opere, tra cui i centrini del primo ‘900 realizzati dalle operaie della società Aemilia Ars (tra le prime organizzazioni proto-industriali a includere le donne), i preziosi libri ricamati di Franca Sonnino e Maria Lai, una Olivetti Lettera 32 di Lucia Biagi curiosamente fatta a maglia, una morbida sciarpa firmata dall’anticonformista artigiana-designer Anita Pittoni, che negli anni ‘50 sosteneva: “alla violenza spettacolare della macchina, l’artigianato si oppone armato di poesia”. E poi, ancora, trame e intrecci creati da Elisabetta Di Maggio, Sabrina Mezzaqui, Claudia Losi, Paola Besana.

Lucia Bigi, Olivetti Lettera 32
Lucia Bigi, Olivetti Lettera 32

Lasciato alle spalle questo ammaliante varco, il percorso espositivo si tramuta in un flusso magmatico che percorre tutto il ‘900. Come annota Margherita Palli negli appunti di scenografia: “l’allestimento deve essere fluido, come un fiume in piena, dinamico e leggero, sempre in trasformazione”. Nelle acque di questo “fiume” scorrono in ordine cronologico e assolutamente non gerarchico arredi, accessori, oggetti decorativi, pezzi in bilico tra arte e design, giocosi e poetici, raffinati e provocatori, molti dei quali sistemati sotto campane di vetro come fossero reliquie. È un viaggio alla scoperta di una creatività e di una produttività improntate all’accoglienza, alla cura degli altri più che del sé, dove a prevalere sono la vitalità, la spontaneità, la volontà di liberarsi da vincoli e pregiudizi, sia dal punto di vista estetico che funzionale.

Francesca Lanzavecchia con Hunn Wai, Metamorfosi Vegetali, 2013
Francesca Lanzavecchia con Hunn Wai, Metamorfosi Vegetali, 2013
Valentina Carretta, Fantastico_domestico. Fabrica for Seletti, 2011
Valentina Carretta, Fantastico_domestico. Fabrica for Seletti, 2011

Sotto lo sguardo benevolo di dieci sante, patrone dei lavori quotidiani e artigianali, disegnate su grandi tende da altrettante illustratrici italiane, il percorso mescola le storie appassionanti e le personalità geniali di un universo polimorfo e sommerso. Ci sono la Scatola dei solidi geometrici pensata da Maria Montessori nel 1907; il Bacio Perugina ideato nel 1924 dall’imprenditrice Luisa Spagnoli, che avrebbe preferito chiamare la sua dolce invenzione “cazzotto”; la graziosa bambola Lilibeth con cui nel 1949 Gioconda Velluti vinse il primo premio di arte decorativa della Galleria Bevilacqua La Masa di Venezia. E ancora, le fantasiose ceramiche di Antonia Campi; la mitica seduta Tripè (1948) nata dal genio anticonvenzionale di Lina Bo Bardi; l’iconica lampada Pipistrello progettata da Gae Aulenti nel 1965; lo spregiudicato Abito-contenitore concepito da Marion Baruch nel 1970, sberleffo al lusso e al perbenismo di via Montenapoleone; i vasi in ceramica di Emilia Palomba, coraggiosa promotrice dell’operosità femminile nel quartiere più degradato di Cagliari; le creazioni di Nathalie Du Pasquier, per la quale i pattern sono “emozioni” da applicare ovunque.

Marion Baruch & AG Fronzoni, Abito-contenitore, 1970, Autoproduzione Baruch, Gallarate Varese
Marion Baruch & AG Fronzoni, Abito-contenitore, 1970, Autoproduzione Baruch, Gallarate Varese

Risalendo via via la corrente di questo fiume travolgente e cangiante, si arriva fino al XXI Secolo, alle produzioni più recenti di designer affermate ed emergenti. Vi sono protagonisti delle fiabe che offrono lo spunto per fantastici oggetti (La bella addormentata e Cappuccetto rosso di Alessandra Baldereschi), esperimenti in bilico tra arte, design e performance (gli Edible Bones di Natascia Fenoglio), l’inventiva ironica e l’estro eclettico di personalità creative come Studio Pepe, Giorgia Zanellato, Matali Crasset, Patricia Urquiola, Carlotta de Bevilacqua, solo per citarne alcune.

W. Women in Italian Design allestimento mostra © Gianluca Di Ioia - La Triennale
W. Women in Italian Design , allestimento mostra © Gianluca Di Ioia – La Triennale

Una volta concluso il percorso di W. Women in Italian Design, oltre allo stupore resta la forte consapevolezza che la storia del design italiano sia molto più intricata, feconda, polifonica e pulsante di quella appresa solitamente, ma anche l’impressione che i semi di un “design socialmente rilevante ed emozionalmente coinvolgente” piantati lungo il corso del ‘900 stiano spuntando oggi sotto forma di rinnovata propulsione creativa.

Francesca Cogoni

W. Women in Italian Design
Nona edizione del Triennale Design Museum
XXI Esposizione Internazionale della Triennale di Milano
Fino al 19.02.2017
www.triennale.org

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