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Colin Ward, Architettura del dissenso: le alternative dell’intelligenza sociale

Architettura del dissenso. Forme e pratiche alternative nello spazio urbano – edito da Elèuthera – è una raccolta di interventi dell’architetto e pensatore Colin Ward (1924-2010) tradotti per la prima volta in italiano.

 

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Copertina, Colin Ward, Architettura del dissenso. Forme e pratiche alternative nello spazio urbano , 2016, Elèuthera

Il tema principale del pensiero wardiano che emerge da questa pubblicazione è il valore delle forme attive dell’abitare e più in generale di quell’ “arte di arrangiarsi” che dà vita a una serie di pratiche utili non solo a trovare risposte alle emergenze, ma anche a percorrere una delle strade per raggiungere un’autentica felicità. Il campo specifico di osservazione qui è quello dell’architettura e dell’urbanistica dove a ogni azione corrispondono la tessitura di relazioni sociali e le conseguenze sulla qualità della vita delle persone.

Oggi, con l’emergere di approcci come il Do It Yourself e l’Open Source, che si basano su una buona narrazione e grandi comunità diffuse, sembra che l’ambiente istituzionale si sia accorto di quanto questi fenomeni – nati anche in risposta alla crisi economica e (in parte) in alternativa al sistema politico ed economico vigente – possano rappresentare una risorsa. Ecco allora che nelle politiche di rigenerazione urbana, economica e ambientale si invoca da ogni lato la parola “innovazione”; a ben guardare, l’attitudine all’arte di arrangiarsi non è mai stata priva di autori e movimenti nella storia recente e passata, così come la capacità di inventare nuovi strumenti. È a questo tipo di pratiche che Ward dirige la sua attenzione per recuperare esempi di auto-costruzione e approcci progettuali sostenibili da diversi e complementari punti di vista: sociale, ecologico, economico, politico e psicologico.

«Ci interessa l’architettura come strumento di self-government, come strumento di una civiltà umanistica, non in grazia di uno stile formale, ma come evidenza della capacità dell’uomo di essere padrone dei propri destini» afferma oggi Paolo Baratta, presidente della Biennale Architettura di Venezia, e ci piace sperare (al di là delle mode del momento) che la mostra REPORTING FROM THE FRONT, affidata ad Alejandro Aravena, sia in grado di far emergere il valore sociale di un simile ribaltamento della prospettiva culturale. Ma quando scrive Colin Ward (dalla posizione ideologica ben dichiarata dell’anarchia libertaria e facendo riferimento alle esperienze di colleghi e pensatori a lui affini come Walter Segal, William Richard Lethaby e Giancarlo De Carlo) deve fare ancora i conti con le logiche del Movimento Moderno, che lo stesso autore considera elitarie e brutalmente meccanicistiche, dispendiose, noncuranti delle preferenze della gente comune e irretite in un sistema burocratico.

In risposta Ward restituisce una descrizione di quelle forme e pratiche alternative nello spazio urbano mettendo in luce una serie di suggerimenti emersi dalla sua ricerca di esempi di costruzioni e urbanizzazioni non ufficiali: guardare alla tradizione dell’autocostruzione, che di per sé incarna già soluzioni a problemi funzionali ed economici strettamente legati alla destinazione d’uso e al territorio, caratterizzati spesso da una sostenibilità anche ecologica; adottare la strategia adattiva che prende in considerazione il riutilizzo di costruzioni già esistenti piuttosto che la loro sostituzione; puntare ad un uso conviviale degli spazi in modo da permettere a chi li abita di arricchirli e caratterizzarli secondo le aspirazioni di singoli e comunità; guardare alle soluzioni ideate dalle controculture, spesso in grado di pensare a forme anomale e funzionali di spazi condivisi; puntare sull’autocostruzione come pratica di partecipazione spontanea e responsabile alla progettazione del proprio ambiente, in un’ottica di lavoro cooperativo e comunitario che permetta una maggiore realizzazione delle aspettative e un affrancamento dallo status di eterno debitore dell’abitante.

Il tutto non senza rinunciare alla figura del professionista architetto, chiamato in causa come intermediatore in grado di aiutare le persone nella risoluzione dei problemi a partire però da una più ampia gamma di competenze ed esperienze culturali.

Colin Ward fa riferimento a esperimenti di autogestione delle emergenze abitative nell’Inghilterra del secolo scorso, dagli anni ’10 al dopoguerra, passando per i plotlands sorti nei luoghi di villeggiatura e dando ampio spazio al fenomeno degli orti urbani e domestici quali esperienze che vanno ben oltre le necessità di sussistenza alimentare.
Questo tipo di creatività che al fai da te spesso associa le soluzioni smart derivate sia dall’innovazione tecnologica sia dalla riscoperta dei saperi tradizionali, emergono anche oggi in risposta a periodi di crisi economica e di welfare, laddove le istituzioni non riescono a far fronte ai problemi e le maglie delle leggi e della burocrazia si allargano, lasciando vuoti in cui la libertà d’azione degli individui può emergere. E proprio la libera iniziativa osservata da Ward funge non solo da palliativo ai problemi più pratici dell’abitare (avere un tetto, riscaldamento, energia, luoghi salubri e servizi) ma anche da catalizzatore di energie creative applicate più in generale alla costruzione della propria identità e al riconoscimento dell’altro nella nascita spontanea delle comunità. Un’idea culturale che applicata a ogni aspetto della vita è alla base del benessere, inteso nel senso più generale del termine.

Martina Coletti

D’ARS anno 56/n. 222/primavera 2016

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Colin Ward
ARCHITETTURA DEL DISSENSO
Forme e pratiche alternative dello spazio urbano
A cura di Giacomo Borella, edizioni Elèuthera, 2016

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