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Dennis Oppenheim: Splashbuilding

Si è inaugurata il 31 luglio scorso e si concluderà il 3 novembre la rassegna Intersezioni, annuale appuntamento artistico ospitato dal Parco Archeologico di Scolacium (Borgia, Catanzaro). L’ormai consolidato luogo di contaminazione tra scultura contemporanea e archeologia giunge quest’anno alla quarta edizione e ha come protagonista l’americano Dennis Oppenheim. L’artista  torna in Italia per un progetto pubblico, a distanza di dodici anni dalla mostra curata da Germano Celant nella zona industriale di Marghera, nel 1997.

Dennis Oppenheim, Digestion, Gypsum Gypsies, 1989 Fibra di vetro pigmentata, gas
Dennis Oppenheim, Digestion, Gypsum Gypsies, 1989
Fibra di vetro pigmentata, gas

Due sono le mostre, allestite al Parco Archeologico di Scolacium e al museo MARCA di Catanzaro, entrambe curate da Alberto Fiz: al piano terra di questo piccolo ma grazioso museo  si trova una selezione di sculture e modelli realizzati dagli anni sessanta a oggi, mentre nel Parco di Scolacium, (uno dei siti archeologici più importanti dell’Italia meridionale), sono ospitate le opere monumentali dell’ultimo decennio, tra cui molte inedite.

È sempre straordinaria la convivenza tra passato remoto e presente futuro. In questo caso lo è ancor più in quanto lo straniamento e la dissoluzione di ogni meccanismo logico-consequenziale, cifra caratteristica del geniale artista americano, paiono accentuare la sensazione di “tempo sospeso” che si respira nel sito archeologico. Un tempo annullato, portato dall’operazione artistica verso un grado zero in cui la visione dell’artista si fa protagonista incontrastata.

A Scolacium vengono presentate venti grandi installazioni che documentano l’indagine recente di Oppenheim. Sono opere dalla forte carica visionaria e destabilizzante, tese a sviluppare una nuova percezione dello spazio fisico e psicologico in un viaggio che attraversa scienza e fantascienza. Tutti  i lavori  di Oppenheim paiono autogenerarsi proprio da una sorta di big bang sovversivo, che annulla ogni regola per dare voce a creazioni libere, dove l’opera stessa pare vivere di vita propria interagendo con l’ambiente.

A dare il titolo alle due mostre sono gli Splashbuilding i due lavori che, collocati all’interno del Teatro romano, assumono un aspetto del tutto inconsueto. Si tratta di opere realizzate nel 2009 che hanno come denominatore comune l’idea dell’esplosione molecolare in una lacerazione progressiva degli elementi. “La società liquida trova la sua piena espressione in questa originale indagine di Oppenheim dove semplici gocce d’acqua diventano lo specchio per un’indagine sul cosmo”, afferma Alberto Fiz nel suo saggio introduttivo al catalogo.

Tra i progetti di arte pubblica viene esposto Tumbling Mirage (2007-2009) formato da tre gigantesche sfere dal diametro di 6 metri ciascuna che costituiscono per i visitatori una presenza misteriosa, veri e propri miraggi futuristici. Navicelle provenienti da chissà quale galassia scendono nel parco e instaurano una nuova relazione con lo spazio. La decontestualizzazione dell’esperienza estetica investe anche Electric Kisses, le due strutture abitabili in acciaio e tubi di colore blu. Sono lavori di quattro metri d’altezza che rielaborano in chiave postmderna le architetture islamiche e occupano il parco come cupole pop poste sul suolo. The Alternative Landscape  ci mette di fronte ad una particolare forma di land art: Alberi fluorescenti con rami in acciaio convivono con strani fiori mutanti, geneticamente modificati, in plastica. In una natura troppo spesso deturpata Oppenheim lancia un monito graffiante. “E’ come esporre nel giardinetto dietro casa le roulette e le slot machine di Las Vegas”.

Tra le secche del parco archeologico approda inaspettatamente anche Submerged Vessels (2001), un’installazione formata da tre vascelli in fiberglass e acciaio proveniente dalla Fundacion Cristobal Gabarron di Valladolid. Le imbarcazioni vengono riportate simbolicamente alla luce quasi fossero esse stesse reperti archeologici, con i loro scafi antropomorfi che ricordano la ritrattistica classica, mentre le vele invece paiono destinate al naufragio. Attorno, gli ulivi centenari ci informano della loro inattaccabile permanenza. È un’ironia spesso amara, quella di Oppenheim, non scevra da spinte verso un antropocentrismo meno arrogante.

A rendere esaustivo il progetto è la mostra proposta in concomitanza con quella di Alex Katz (chiusa lo scorso 27 settembre) al museo MARCA con una serie di opere di particolare importanza come Sworm (2009) o Light Chamber (2009) da cui emerge ancora una volta la libertà creativa di Oppenheim che crea nell’ambiente elementi instabili e precar,i secondo una ricerca che non perde mai di vista la relazione con l’architettura e il design.  Al MARCA l’artista americano presenta anche i suoi celebri cervi con le fiammelle, che escono dalle corna, azionate da una bombola di gas; una delle opere a mio avviso più suggestive e stranianti che suscitano riflessioni sulla contemporaneità sociale, culturale, scientifica.

Dennis Oppenheim, Splasbuilding, 2009
Dennis Oppenheim, Splasbuilding, 2009

Di notevole interesse storico sono i trenta modelli di sculture monumentali realizzati dal 1967 a oggi, provenienti dallo studio dell’artista, così come da importanti istituzioni pubbliche. E’ un’occasione di particolare rilievo per osservare l’evoluzione della sua indagine attraverso forme diventate celebri. Case-tornado, caravan-pipistrelli, igloo meccanici, bus a forma di insetti, abitazioni-spirali animano l’immaginario di un artista inquieto e geniale. In mostra anche alcuni saggi della sua produzione video a partire dagli anni sessanta.

Dennis Oppenheim (Electric City, 1938), sin dagli anni sessanta ha contribuito in maniera determinante a modificare i linguaggi dell’arte contemporanea. Ha vissuto le fondamentali esperienze dell’arte ambientale, della Land Art e della Body Art. La sua prima mostra personale risale al 1968 ed è stata organizzata dalla John Gibson Gallery di New York. Da allora si sono svolte mostre nei principali musei e fondazioni del mondo tra cui la Tate Gallery di Londra lo Stedelijk Museum di Amsterdam; il Whitney Museum of American Art e il Museum of Modern Art di New York. Molte le commissioni pubbliche e le partecipazioni a biennali internazionali. Vive e lavora a New York.

 

Cristina Trivellin

D’ARS year 49/nr 199/autumn 2009

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