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Animismo. Berlino – Haus der kulturen der welt

Se le ombre lunghe dell’utopia moderna con il suo mito del progresso, della crescita, della civilizzazione sono ormai diventate gli spettri quotidiani del tardo-capitalismo, allora soltanto un brusco cambio di prospettiva può aiutare a far luce sulle contraddizioni nelle quali sembra logorarsi il presente e con lui la possibilità di un futuro diverso. Da questo punto di partenza i curatori Anselm Franke e Irene Albers hanno presentato – dal 16 marzo al 6 maggio negli spazi dell’Haus der Kulturen der Welt di Berlino – una mostra complessa, densa di spunti, quasi un’operazione concettuale in sé, un progetto ambizioso arricchito da due giornate di conferenze sul tema con ospiti internazionali di altissimo profilo, studiosi, ricercatori, antropologi tra cui Harry Garuba, David Abram, Michael Taussig, Tobie Nathan. Idea guida del programma: l’animismo come scardinamento della divisione ontologica tra natura e cultura, tra oggetto e soggetto posta in maniera fondante dalla tradizione positivista. Una divisione che continua ad essere il presupposto del capitalismo, del suo ordine normativo, del suo orientamento all’efficienza e al controllo. Un movimento cieco che sempre più si scontra con la necessità di ridiscutere e, quindi, anche di politicizzare i confini tra natura e cultura.

Marcel Broodthears - Caricatures - Grandville, 1968
Marcel Broodthears – Caricatures – Grandville, 1968

L’installazione di Dierk Schmidt Image Leaks (2011) si è confrontata, per esempio, con il disastro ambientale nel Golfo del Messico e con la politica mediatica adottata dalla multinazionale BP al fine di nascondere le tracce dei danni attraverso la manipolazione digitale delle immagini. Proprio in un mondo che si proclama trasparente e che promette l’ubiquità, la fotografia perde il suo statuto di testimonianza e l’invisibile assume nuove valenze. Come nel caso della fuga radioattiva che, non essendo immediatamente rappresentabile e dunque quantificabile, ha permesso alle autorità giapponesi di tacere la gravità della catastrofe di Fukushima, indagata nell’installazione video Two Maps (2012) di Angela Melitopoulos e Maurizio Lazzarato insieme all’archivio di immagini, articoli e appunti del fotografo Chihiro Minato. La loro ricerca prova che sarebbero state recuperate forme rappresentative già attivate per Hiroshima – a partire dal cerchio della contaminazione rimasto identico per dimensioni e portata – affrontando l’emergenza da un punto di vista esclusivamente politico (e non ecologico) per evitare un´ulteriore destabilizzazione del paese.

Dierk Schmidt, Image Leaks, 2011
Dierk Schmidt, Image Leaks, 2011

Il video di Paolo Tavares Non-Human rights (2011/2012) porta invece l’esempio pioneristico dell’Ecuador che nella sua nuova costituzione (approvata nel 2008) ha riconosciuto la natura come soggetto giuridico, caso finora unico al mondo. Una scelta frutto dell’attività politica dei movimenti indigeni che negli anni Novanta si sono opposti in modo sempre più organizzato alla colonizzazione delle multinazionali e alla distruzione del territorio. Che il superamento del contratto sociale moderno stia nell’apertura alla natura? Che sia giunto il momento di riconoscere più nature (tante quante sono le culture) contro la concezione positivista e monolitica che contrappone la natura a tutto ciò che è umano? Considerando quest’ultimo versante emergono rimozioni drammatiche nel nome di un sistema capitalistico onnivoro che non tollera scarti, alternative, differenze. Non a caso viene dedicato ampio spazio alla critica del colonialismo, dell’etnologia e della psicoanalisi utilizzando anche molti materiali d’archivio, altrimenti di non facile accessibilità per il pubblico. Tra questi un film didattico dal titolo La neuropatologia realizzato da Camillo Negro a Torino nel 1908 dove una serie di sintomi “devianti” vengono classificati affidandosi alla componente visuale-descrittiva grazie al supporto della macchina da presa che (come la fotografia) si rivela fin dagli albori una preziosa tecnologia a servizio dello scrutinio biopolitico. Interessante come gli stessi mezzi di riproduzione vengano usati più tardi in maniera totalmente opposta da alcuni Navajo che, sollecitati dagli antropologi Sol Worth e John Adair, realizzano Intrepid shadows (1966-69) uno degli esempi più belli di animismo nel cinema, nato dal tentativo di auto-raccontarsi attraverso un medium estraneo alla loro cultura.

Altri contributi critici provengono dai montaggi di materiali video e documentazioni legati alla clinica La Borde dove Félix Guattari sperimentò pratiche terapeutiche opposte alla psichiatria istituzionale e maturò alcune riflessioni chiave presenti anche nell’Antiedipo,scritto a quattro mani con Gilles Deleuze. Tobie Nathan, invece, con la sua carismatica presenza ha raccontato il complesso orizzonte dell’etnopsichiatria al Centre Devereux di Parigi dove lavora da anni con gli immigrati facendo tesoro del loro bagaglio culturale (rituali, forme di guarigione, etc.) opponendosi a un approccio analitico classico-universalista per cui i modelli psicologici valgono per qualsiasi essere umano e vanno applicati in modo neutrale.

A questi spunti fanno eco gli atteggiamenti mimetici e le referenze animistiche delle opere di Lars Laumann, Tom Holert, Roee Rosen, Yayoi Kusama, per citarne alcuni. Declinazioni che la società borghese continua a ignorare, stigmatizzando o banalizzando questi discorsi come sintomi disfunzionali, circoscritti ai margini. In questo senso l’animismo è tutto ciò che logora o contraddice la separazione cartesiana tra pensiero e materia, tra vita e morte, ammettendo la coesistenza di una pluralità di universi. Eppure il capitale in forma più avanzata sembra quasi antropomorfizzato con la sua sensibilità alle previsioni di mercato e la sua capacità di produrre ricchezza a partire semplicemente da se stesso, polverizzando ogni risorsa… quasi per magia. In questo camouflage finanziario ognuno sembra relazionarsi all’altro nella dimensione più scarna – nel senso letterale di disancoramento dalla carne della natura – ovvero in quanto produttore, o meglio, vettore astratto di capitale spinto dal mantra del debito.

Clara Carpanini

D’ARS year 52/nr 210/summer 2012

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