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Franca Sozzani. Passato, presente e futuro del giornalismo di moda

La scomparsa di Franca Sozzani, storico Direttore di Vogue, è un’occasione per ripercorrere una stagione fortunata del giornalismo di moda e immaginarne gli sviluppi futuri in un’epoca dominata dai “digimagazine”

La scomparsa di Franca Sozzani, direttrice di Vogue Italia, ha originato omaggi e articoli che, ricordandola, hanno offerto uno sguardo sull’editoria di moda negli ultimi 40 anni. E ciò mentre il passaggio dal cartaceo al digitale sta obbligando a un ripensamento sulle pubblicazioni.
Si è scritto di come “il Direttore Sozzani” abbia rivoluzionato il giornalismo visivo, attraverso le sue messe in scena dall’estetica un po’ crudele e a-morale, senza sovrastrutture giudicanti. Visionaria e pragmatica, ha flirtato con immagini al limite del disturbante (o del trash, del kitch) semplicemente registrando la realtà e veicolandola attraverso il filtro di perfezione formale delle foto patinate, in un gioco di rimandi arbitrario quanto, nei casi più riusciti, ironico.

Vogue Italia Agosto 2008 e Agosto 2010. ©Foto di Steven Meisel. Courtesy of CondèNast
Vogue Italia Agosto 2008 e Agosto 2010. ©Foto di Steven Meisel. Courtesy of CondèNast

Con pragmatismo ha gestito anche un potere dettato dall’autorevolezza che è stato secondo solo a quello della sua omologa a Vogue America, Anna Wintour: giudizi o aperture di credito pesanti, quelli espressi da entrambe, capaci di condizionare il destino di collezioni e carriere di creativi. Se fra le due testate, americana e italiana, la differenza di copie vendute premia sicuramente la prima, un tale potere decisionale si giustifica solo con una carriera inattaccabile o quasi: “Non si può piacere a tutti e soprattutto non si deve, affermazione che si è trasformata in un manifesto identitario. E rivendicazione di autonomia che già agli esordi, nella Milano dei primi anni ’80, caratterizzò Lei-Glamour, primo mensile da lei diretto.

Milano, all’inizio di quel decennio, si scopriva più scintillante per l’esplosione del pret à porter: boom del tutto nuovo, estremamente affascinante e liberatorio rispetto alla cupezza degli anni ’70.
Al di là delle semplificazioni sulla Milano da bere slogan dell’Amaro Ramazzotti, o del giudizio che indicherà quel periodo (Gli anni di plastica) come causa di molti successivi dissesti italiani, è l’epoca nella quale la città industriale si converte a un’economia basata sulla finanza e sui servizi; una città che in breve dovrà alla moda e a stilisti come Giorgio Armani una maggiore affermazione a livello internazionale, di pari passo con la crescente diffusione della moda italiana.

In un simile clima di euforia economica, per le riviste di moda c’è la possibilità di sperimentare adeguandosi ai nuovi modelli femminili e maschili. A smentire la fama di futilità, a posteriori si può dire che riviste come Lei-Glamour (e più avanti Per Lui, sempre diretta da Sozzani per Condé Nast, o 100 Cose– Mondadori) abbiano rappresentato la trasformazione sociale in atto e l’espressione di un bisogno di felicità spensierata considerata non in contrasto con la rivendicazione di autonomia e il desiderio di realizzazione.

I servizi dei fotografi Bruce Weber e Steven Meisel mostrano le nuove tendenze in una dimensione cosmopolita nella quale si mischiano curiosità per i milieu artistici e creativi, mito della donna in carriera, sdoganamento delle estetiche delle “tribes”, prodotti di bellezza e make up, articoli sul sesso e moda come parte integrante della personalità.

Lei è una pubblicazione dedicata a ragazze alle quali si pensa non sarà imposta la scelta fra essere belle o intelligenti.
Per Condé Nast la punta di diamante creativa fu però Vanity, dal 1981 al 1984, rivista dedicata all’illustrazione e ideata da Anna Piaggi, iconica art director dalla lunga carriera. L’illustrazione di moda resuscita per interpretare la “nuova moda” attraverso la mano di disegnatori come Antonio Lopez e Tony Vitamontes, di artisti (François Berthoud) o di fumettisti, molto giovani, come quelli del gruppo Valvoline: Igort, Giorgio Carpinteri e Lorenzo Mattotti. Avanguardia o follia commerciale? Entrambe.

© Donna, prima uscita, marzo 1982 e settembre 1985, model Linda Evangelista - Courtesy ofEdimoda – Ph. ©Giovanni Gastel
© Donna, prima uscita, marzo 1982 e settembre 1985, model Linda Evangelista – Courtesy of Edimoda – Ph. Giovanni Gastel

Testata cult e antagonista di Vogue fu invece Donna, mensile diretto da Gisella Borioli, ex-direttrice Condé Nast; rispetto al Vogue molto tradizionalista di quegli anni, Donna sancisce il codice di un’eleganza moderna e intrinsecamente legata alla promozione del Made in Italy. Il progetto di Donna – a cui segue Mondo Uomo – si deve a Flavio Lucchini, già ideatore di Amica e altre riviste del gruppo Vogue, che nel 1979 fondò Edimoda per proporre nuove testate di alta gamma, testate che rappresentarono al meglio lo spirito intraprendente e self-confident di quel periodo. Attraverso le fotografie degli emergenti italiani Gastel, Ferri e Roversi, e gli abiti di Armani, Ferré, Versace (creatori per i quali la rivista ebbe un ruolo da mentore) si delineava l’immagine di una donna alla quale niente era precluso, o almeno lo si auspicava.

La moda era l’espressione di sé e del successo da raggiungere, un mezzo per affermare l’identità femminile e per lanciare idee, valori e creatività alla base della cultura del prodotto italiano. Moda e design; Milano, Italia.
Dalla collaborazione fra Edimoda ed Eri Rai nel 1983 nacque Moda, diretta da un giornalista vulcanico, Vittorio Corona, che colpì per un linguaggio grafico e verbale innovativo, seguita poi dal magazine maschile King. Sono riviste di grande formato, eleganti e apprezzate anche dagli addetti ai lavori per i contenuti e la qualità dell’immagine, ma connotate da una forte ironia. È un successo, e Rai Due decide di produrre una trasmissione settimanale dallo stesso titolo che ne mantiene lo spirito dissacrante.

©King luglio 1991 - Courtesy of EdizioniERI-RAI
© King luglio 1991 – Courtesy of Edizioni ERI-RAI

In questo contesto, nel 1988, Franca Sozzani arriva alla direzione di Vogue Italia esattamente quando Anna Wintour si insedia a Vogue US: nella moda in pochi anni molto è cambiato e altre riviste hanno già lasciato il segno, in Italia e fuori. Mentre Borioli dopo oltre un decennio lascia Donna, Vogue inaugura una lunghissima stagione di “dittatura” quasi indiscussa, ma sottoposta alle sollecitazioni dell’editoria proveniente dalla nuova fucina creativa: Londra.

All’inizio degli anni ’80 a Londra nascono delle riviste “ibride”, ideologicamente pop, nelle cui pagine musica, moda e cultura visiva si alternano senza soluzione di continuità. Il loro pubblico è inizialmente molto giovane, ma in pochi anni passano dall’essere poco più che fanzine a esercitare una palese influenza.
The Face, the 80s fashion bibledi Neville Brody (1980-2004, “sostituita” dal semestrale – poi digitale POP), e i-D, fondata dall’ex-editor di Vogue Terry Jones, sono testate imprescindibili nella moda e non solo, come lo sarà più avanti Dazed&Confused, fondata nel 1991 dal fotografo Rankin. È su queste testate che debuttano editor e fotografi che in breve confluiranno in quelle più prestigiose.

© The FaceVol 1 No. 83 march 1987
© The Face Vol 1 No. 83 march 1987

Craig McDean, Nick Knight e Juergen Teller o, ancora, Wolfgang Tillmans, Ellen von Unwerth e Steven Klein contribuiscono a ridefinire l’immaginario della moda sostituendo a immagini genericamente estetizzanti  e descrittive, ambientazioni inconsuete, periferie, interni working class o al contrario ridondanti, e styling iperminimali, “common”, tanto quanto quelli più teatrali e drammatici. I modelli estetici: dalla femminilità archetipica di Eva Herzigova all’androginia imperfetta ed emaciata di Kate Moss, altri tasselli in concept visivi molto diversi fra di loro.
Sono questi creativi, che lavorano contemporaneamente anche a copertine di dischi e video musicali, a offrire un rinnovamento alle storiche Vogue Italia e Vogue US per prime e poi a tutte le altre.
Le copertine di debutto di Sozzani e Wintour mostrano rispettivamente una camicia bianca (Ferré) e un paio di jeans abbinati a un top iperdecorato (Lacroix), la “tela” bianca da riempire e lo scardinamento del dress code: l’evoluzione dell’immaginario passa anche dai dettagli.

Vogue Italia Luglio 1988 - Courtesy of CondèNast. 7. ©Foto di Steven Meisel
Vogue Italia Luglio 1988 – Courtesy of CondèNast. 7. ©Foto di Steven Meisel

Nei due decenni – ’90 e ’00 – che hanno visto il proliferare di testate sempre più sofisticate e indecifrabili per i non addetti, queste due riviste temute nei backstage delle sfilate hanno rimodellato i canoni estetici e reso mainstream concetti che solitamente sono attinenti alla categoria standard del “brutto” o del “cattivo gusto”, contando su una rielaborazione creativa abbastanza sofisticata da evitare il rischio della volgarità o, peggio, della noia.

Ora la moda si è ulteriormente velocizzata, i brand si rinnovano e bruciano creativi in tempi brevissimi; la stampa di settore deve trovare il modo giusto per raccontare tutto ciò e il tempo attraversato creando la giusta narrazione a partire dalle scelte estetiche.
Velocità, raccolta pubblicitaria (che si assottiglia a favore dei fashion blogger più immediati ed economici) e digitale mettono a rischio la stampa tradizionale, pur se di qualità.

La moda, benché si sia digitalizzata tardi e male (cioè per obbligo) in alcuni casi, vi si è votata con una certa vitalità ed esperienze seminali.
SHOWStudio.com, nato nel 2000 da un’idea di Nick Knight, che tuttora ne è director, si è imposto come una piattaforma per la comunicazione di contenuti visivi «Non mi piace definirmi “fotografo”, piuttosto, mi ha sempre interessato la comunicazione. La fotografia è solo un mezzo. (…) La mia ossessione, invece, è la possibilità di parlare con le immagini. Le distinzioni tra un mezzo e l’altro sono solo confini. E i confini non m’interessano».

© Showstudio.com - Ph. ©Nick Knight
© Showstudio.com – Ph. Nick Knight

Molto dell’esperienza di SHOWStudio è stato recepito da blog e “digimagazine” di nicchia, a volte anche dai website dei brand- o loro emanazioni come Nowness.com di LVMH – nell’immancabile comunicazione disintermediata.

Fare un’informazione creativa, mantenendo una funzione di report sui principali avvenimenti che riguardano la moda e la “pop culture”, o il lifestyle in senso lato, e proporre in più contenuti originali, video, film, performance online con il contributo di artisti, fotografi, musicisti, filmaker e creativi, è la strada seguita da molti e che si evolve in continue trasformazioni.
Sembrerebbe uno scenario pessimistico per le riviste su carta stampata, stante anche la crisi globale del settore, ma paradossalmente si possono consolidare le pubblicazioni di qualità che producano editoriali di ricerca e contenuti culturali; riviste che rappresentino un documento visivo della contemporaneità, nella quale la moda funga da catalizzatore per la musica, la cultura, l’arte, i media.

© Courtesy of The Gentlewoman SS2013, Beyoncéph. by AlasdairMcLellan e SS 2012, Christy Turlingtonph. byInez and Vinood
© Courtesy of The Gentlewoman SS2013, Beyoncéph. by Alasdair McLellan e SS 2012, Christy Turlingtonph. by Inez and Vinood

Uno spazio per designer, fotografi e artisti che risulti utile conservare e consultare per il potenziale creativo espresso. Ne esistono già, trimestrali o semestrali come Another, Gentlewoman o l’imminente Mastermind. Sarà interessante vedere se potrà essere una direzione percorribile anche per Vogue, ora che con la nomina di Emanuele Farneti si è risolto il problema della successione

Claudia Vanti

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