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Nuvole, mani. Il cinema di Simone Massi

Non fosse nevicato, il cuore degli spettatori non avrebbe avuto l’avvertimento che qualcosa, di lì a poco, avrebbe unito il cielo alla terra. Il blu col rosso. Nuvole, mani…

Titolo dell’ultima opera dell’autore marchigiano, Nuvole, mani racchiude in sintesi perfetta la poetica di uno straordinario cinema d’animazione. Pochi minuti di pura arte per entrare nel caleidoscopio immaginifico di Simone Massi, ora fruibile grazie al libro-dvd Poesia Bianca[1], presentato alla “Libreria del mondo offeso” di Milano sotto una neve propizia…annunciava la dimensione ritrovata: quella dello spaziotempo poietico. Si può provare un senso di vertigine. Un’introspezione visiva e sonora soverchia le coordinate spaziotemporali di vita e del cinema cui siamo abituati, accelerando e decelerando coi pedali della poesia racconti ed emozioni.

Simone Massi, Tengo la posizione, 2001
Simone Massi, Tengo la posizione, 2001

I cortometraggi di Simone Massi, interamente realizzati a mano, senza l’utilizzo del computer, disegno dopo disegno, sono dei sorprendenti galoppi nell’immaginario di un artista che inonda dei personaggi e paesaggi del suo vissuto, dei maestri dell’arte e della letteratura che accompagnano la sua creazione, lo spazio che si concede. Si riconoscono bombette magrittiane, scie metafisiche, bagliori surrealisti, luci fiamminghe e riferimenti alla letteratura italiana del Novecento, primo fra tutti Cesare Pavese. Via via che l’opera giunge a maturazione tuttavia, le citazioni si fanno più rade, interiori, invisibili. Assorbite come pioggia nella terra. Restano i colli marchigiani e il rumore di chi partecipa da dietro il tuono. Il tutto, nella fluida dimensione dello spaziotempo poietico (gr. ποιέω = fare, creare, comporre) perchè artigianale, lirico, etico.

È il tempo dello scavo, della poesia che scolpisce il silenzio e che nel suo fare quotidiano, nella costanza e nell’ostinata resistenza, arriva al cielo. In Nuvole, mani le mani faticano lavorano intagliano intrecciano, sbucciano il cuore arancione, poi guardano il cielo e le nuvole sono là, a ricordare come diluirci nei legami della natura, nelle liquide trasformazioni biografiche.

È il tempo delle origini, della memoria che cavalca generazioni al suono di un ricordo, alla ricerca di un’immagine la cui matrice spiega con uno sguardo viaggi e dolori, partenze e ritorni. In pochi minuti si scorre all’indietro una storia, dall’aprirsi di una valigia, lo sbattere di una porta, dall’improvviso svenimento del personaggio che non può più stare in piedi e deve piombare al suolo, perdere i sensi, si accede al fiume dei passaggi, delle associazioni, dei rimandi che dilatano negli spazi il tempo del film.

È lo spazio della concentrazione. Della volontà di creare e affinare immagini che siano pregne dello spirito che le genera, coerenti e fedeli all’idea. Le narrazioni di Massi seguono il movimento di un’immersione che da una discesa nel cuore di una biografia, di un sogno, un piccolo racconto, torna al punto di partenza come lo schiudersi e il richiudersi di una scatola, una borsa, un ricordo. Nel mezzo, a scandire il tempo, i tuoni di un temporale, gli ululati dei cani, la danza di piume o fogli di carta inchiostrata, che spirano e volteggiano nell’aria, messaggeri di cambiamento. Se compaiono parole dai loro profili si aprono spazi sconfinati, in corsa, e nella forza della penetrazione, nel coraggio della ricerca, l’occhio scende giù, sino alle ossa della storia, nella struttura e nello scheletro della cultura. Il viaggio è allora quello dell’anima individuale e collettiva sino alle radici delle emozioni, grazie e con al fianco l’emblema della purezza, dell’innocenza e della forza della natura: gli animali. Un cane accompagna spesso il personaggio dei film di S.M. e nelle curve della sua saggezza, nella dolcezza dei suoi silenzi, risuona l’atteggiamento di rispetto e ascolto dell’autore ai ritmi della vita, alle sue verità. Il cane, come guida interiore, con semplicità quieta e fedele, mostra al protagonista il filo rosso che lega alla terra, alla casa e che segna il passaggio. Il solco che mette in contatto col cielo, con l’immaginario, la libertà. Ecco allora che la resistenza, la battaglia quotidiana, l’etica della poiesis, ha la forma della sciarpa rossa del partigiano, del collare di un cane seguito con amore, un legame che porta alle nuvole. Senza scavo concentrazione resistenza galoppo sogno e libertà pare dunque non possa esserci poesia.

Il cinema di Simone Massi emoziona a tutto tondo per la densità di un messaggio audiovisivo che ha corpo, tempo e che porta i segni della propria lotta. Una rivoluzione lenta, mite, silenziosa e dirompente quanto la potenza della natura. Diventiamo detentori inaspettati di una carica emotiva che narra la storia di uno, di molti, del viaggio che ognuno ha dentro o che ricorda, spera, rimpiange. Questo cinema ha la delicatezza di un foglio che piove dall’alto, il cui peso è quello della poesia che strugge e incanta, può far volare e colpire al cuore.

Niente occhialini 3d. La multidimensione si apre improvvisa se solo ci si lascia cadere, ci si adagia sulla propria ombra, permettendo alle nuvole di insegnarci il tempo e la meraviglia. Non fosse nevicato, il cielo non avrebbe contraccambiato la stima. 

 Viola Lilith Russi

D’ARS year 50/nr 201/spring 2010


[1] POESIA BIANCA, Il cinema di Simone Massi, a cura di Roberto Della Torre, 2009 Fondazione Cineteca Italiana

 

 

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