La rivista nel 2022 è stata trasformata in archivio di contenuti.

Tree e la chocolate factory di Paul McCarthy

A sancire l’innegabile prossimità culturale di Francia e Italia ci ha pensato nel secolo scorso Jean Cocteau affermando che gli italiani sono dei francesi di buon umore. Finora però in terra d’oltralpe nessuno aveva ancora eguagliato l’impresa di quel signore che, “oltraggiato” dai bambini impiccati del provocatore Cattelan, decise di farsi giustizia smantellando l’installazione e – nemesi immediata scatenatasi sulla bestialità – si provocò una frattura durante la propria impresa. Dieci anni più tardi il conto è però tornato in pareggio quando un altro esperto di marketing, quel Paul McCarthy che ha fatto di fluidi corporali e gesti dissacranti la propria bandiera, ha vissuto il parziale danneggiamento della sua opera – Tree, l’opera gonfiabile installata nell’ambito della FIAC hors les murs in Place Vendôme a Parigi, da molti assimilata a un anal plug – e un’aggressione fisica da parte di un contestatore.

Digital Rendering for Inflatable Sculpture, Tree, in Place Vendôme, Paris, 2014. Designed by Páll Björnsson et Paul McCarthy Courtesy of the artist and Galerie Hauser & Wirth
Digital Rendering for Inflatable Sculpture, Tree, in Place Vendôme, Paris, 2014. Designed by Páll Björnsson et Paul McCarthy. Courtesy of the artist and Galerie Hauser & Wirth

Molto rumore per nulla?

Le affermazioni del professor Jean-Luois Harouel – docente di diritto a Paris II – sembrano tristemente manifestare una volontà di recrudescenza o, peggio ancora, di diffusione di metastasi per il momento confinate al ruolo di cellule isolate nella propria malattia.

In un’intervista pubblicata da Le Figaro definisce McCarthy il “Signore che inquina la Place Vendôme” e pontifica “[nell’arte contemporanea] in realtà non esiste né opera né arte”, “[tra] l’artista contemporaneo e i grandi artisti del passato […] non c’è alcuna possibilità di dialogo, ma un disdicevole inquinamento dei grandi luoghi del patrimonio artistico e architettonico”.

Chocolate Factory, Paul McCarthy Monnaie de Paris ©Marc Domage  Courtesy of the artist and Galerie Hauser & Wirth
Chocolate Factory, Paul McCarthy. Monnaie de Paris ©Marc Domage. Courtesy of the artist and Galerie Hauser & Wirth

A ognuno trarre le proprie conclusioni. C’è solo da augurarsi che non si tratti dei prodromi di una nuova definizione di arte degenerata, come ha sottolineato Fleur Pellerin (Ministro della Cultura) in un tweet di solidarietà all’artista americano. Che ha reagito in modo sorprendente. Ha scelto di non re-installare l’opera, ufficialmente per evitare ulteriori ripercussioni. E ha decisamente modificato l’installazione presso La Monnaie de Paris (in italiano corrisponde alla Zecca), che sotto la guida di Chiara Parisi, ha riaperto i propri spazi espositivi scegliendo McCarthy per inaugurare una nuova programmazione culturale con la mostra Chocolate Factory. Appropriato il contesto: in un luogo che conia serialmente monete, la fabbrica di cioccolato che sforna senza sosta le stesse figurine di cioccolato, costituisce una mise en abîme difficilmente eguagliabile. Metafora della formattazione a cui il sistema occidentale, o forse più semplicemente il sistema tout court assoggetta chi adotta la postura del consumatore divertito – una rilettura contemporanea del panem et circenses che lui identifica come fulcro del sistema economico statunitense – la chocolate factory produce repliche pressoché perfette di due icone differenti: Babbo Natale e la versione in miniatura del fu Tree in Place Vendôme.

Chocolate Factory, Paul McCarthy Monnaie de Paris ©Marc Domage  Courtesy of the artist and Galerie Hauser & Wirth
Chocolate Factory, Paul McCarthy. Monnaie de Paris ©Marc Domage. Courtesy of the artist and Galerie Hauser & Wirth

Gli esemplari “imperfetti” o che non corrispondono agli standard vengono distrutti (verificato di persona, N.d.R.). Benvenuti nella Disneyland di McCarthy dove artificialità e vacuità di una visione ipocritamente buonista disturbano anziché divertire. L’olfatto è il primo senso a essere interessato: a mano a mano che si avanza, l’odore diventa stucchevole. Superata l’area produttiva vera e propria in cui lavorano operai robotizzati uniformemente connotati da un caschetto biondo stile pin-up/casalinga perfetta anni’50, a connotare il percorso come iniziazione alla presa di coscienza è la vista delle accumulazioni delle figurine di cioccolato, tutte rigorosamente di 300 grammi e alte 19 cm: cataste standardizzate, immobili, in passiva attesa di essere poste in vendita o di liquefarsi… e la scelta di un archetipo popolare come il barbuto elargitore di doni non sorprende, non suscita meraviglia, ma scuote nel suo ricordare a ognuno l’incertezza di contenuti di un certo immaginario collettivo: siamo (ormai) tutti (o quasi) figli di Hollywood e della finzione? O forse di pu… bblicità?

Chocolate Factory, Paul McCarthy Monnaie de Paris ©Marc Domage  Courtesy of the artist and Galerie Hauser & Wirth
Chocolate Factory, Paul McCarthy. Pannello sul quale l’artista raccoglie gli insulti ricevuti per l’installazione Tree. Monnaie de Paris ©Marc Domage. Courtesy of the artist and Galerie Hauser & Wirth

La mostra avrebbe dovuto essere corredata dalla video-installazione Dreamscape ma, come ricordato più sopra, a seguito degli atti vandalici l’artista ha apportato una variazione significativa: proiettare in ogni sala, video di se stesso intento a scrivere su fogli di carta – esposti anch’essi – i vari insulti/accuse di cui è stato oggetto durante l’aggressione. Il risultato – amplificato dalla sua voce che legge in tono acceso quanto sta vergando – trascende il disturbo per inoltrarsi nella dimensione del disagio suscitato dalla violenza assolutamente inopportuna e ingiustificata di cui l’arte né qualsivoglia attività o forma di espressione dell’uomo mai dovrebbe costituire l’oggetto. Difficile esprimersi sull’opportunità di questa modifica, che in ogni caso rafforza l’invito al risveglio da una catalessi collettiva e massificante il cui castello di pregiudizi spesso impedisce di aprirsi al nuovo o al diverso. Ma una nota stonata c’è stata di sicuro: perché Paul McCarthy ha disertato la presentazione alla stampa? I pretesti accampati non cancellano il fatto che chi era presente non fosse mosso dalla volontà di gettare paglia sul fuoco…

Danilo JON SCOTTA

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