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Silk Road Project. Per cambiare il mondo devi fare un po’ di rumore

Il film documentario Yo-Yo Ma e i musicisti della via della seta diretto dal Premio Oscar Morgan Neville (20 Feet from Stardom), racconta Silk Road Project, un progetto culturale cosmopolita nato nel 2000 da un’idea del violoncellista di fama internazionale Yo-Yo Ma.

Presentato in anteprima nazionale al Biografilm Festival 2016 e al Festival di Berlino, è in uscita nelle sale italiane dal 24 novembre.

Il film Yo-Yo Ma e i musicisti della via della seta è un modo originale per riflettere attraverso la musica sulla migrazione di popoli, costretti a fuggire a causa di guerre civili, dittature, occupazioni religiose ed economiche. Silk Road Project nasce da una motivazione personale di Yo-Yo Ma, ma negli anni diventa poi un qualcosa di molto più grande. Un gruppo di artisti, proveniente da diversi paesi nel mondo, si uniscono per suonare insieme, uniti esclusivamente dal linguaggio della musica.

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Cristina Pato, dal film Yo-Yo Ma e i musicisti della via della seta

Una panacea sonora, un viaggio etnomusicologico che passa dal liuto cinese “pipa” di Wu Man, alla cornamusa galiziana di Cristina Pato. Il racconto delle storie dei musicisti, delle loro tradizioni e delle loro migrazioni, indotte nella maggior parte dei casi da ragioni politiche. Come ad esempio per Kayhan Kalhor, virtuoso dello strumento tradizionale iraniano kamancheh, costretto ad abbandonare sua moglie e il suo paese dopo la “rivoluzione verde”. Oppure Kinan Azmeh, clarinettista siriano sfuggito alla guerra, che ci porta nel campo profughi più grande al mondo e si domanda: “Può una canzone fermare un proiettile?”. La sua esperienza insegna che la musica forse non può fermare un proiettile, ma può creare i presupposti per non spararlo. La musica, a volte salvezza, a volte ragione di fuga, unisce le loro vite e dimostra che si può essere uniti a prescindere dalle proprie radici.

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Questo documentario mostra anche come vi sia un arricchimento dalle relazione interculturali. Come sottolinea Wu Man, la terra è un globo, non esiste est o ovest. La condivisione in questo senso è inevitabile, anche perchè siamo esseri viventi curiosi e dinamici e se si vuole poi parlare di cultura bisogna ricordare come anch’essa, come noi, ha bisogno di nutrirsi di nuove esperienze per non morire, per non perdere il senso.

In questo momento storico in cui dilagano eccessivi dibattiti riguardo ai flussi migratori, credo non ci sia linguaggio migliore di quello musicale per avere una risposta. Non ragioniamoci, ma sentiamoci: questo è il senso celato nella musica, creare una dimensione conviviale, non di minaccia.

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Wu Man parlando del teatro cinese delle ombre, racconta come sia dura per i suoi interpreti sopravvivere, visto che anche un autista in Cina è retribuito di più. Situazione poi non così lontana dalla nostra a pensarci bene, una consapevolezza che ci lascia l’amaro in bocca. Amaro tuttavia che il film riesce ad alleviare con un messaggio propositivo: “se si cerca di uccidere lo spirito umano, questo risponde vendicandosi con la bellezza”. Ogni artista infatti usa il suo strumento come fosse la voce del suo spirito. Quello che solitamente comunica un musicista quando suona non è rivolto alla testa, ma a tutto quello che c’è intorno. Per questo la sua voce è un’arma molto più potente delle parole, che può arrivare dove il linguaggio verbale non riesce.

Silk Road Project è un susseguirsi di messaggi più o meno potenti, rivolti a tutte quelle persone che vogliono in qualche modo contribuire a migliorare il mondo. Quale altro modo vi viene in mente, se non quello di fare un po’ di rumore?

Sara Cucchiarini

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