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A Lampedusa ci sono piu’ stranieri che stranieri

Foto di Marta Rizzato
Foto di Marta Rizzato

Continuavano ad arrivare. Da ogni parte.

Arrivavano dal mare – sulle belle coste del nostro Paese – a bordo di barconi fatiscenti e cascanti, con il fasciame lurido e rugoso, come il volto d’un vecchio.

Arrivavano dalle montagne, valicandole e violandone la naturale essenza di confine, riversandosi a frotte nelle nostre valli, nelle nostre città, nelle nostre strade, nelle nostre case.

Arrivavano, animati da quell’odiosa voglia di cavarsela, di vivere… e si portavano via gli amori e i sospiri delle nostre donne. Rubavano i nostri sogni. Sogni nostri per principio, giacché molti di noi non avevano nemmeno più la forza di sognarli.

E, talvolta, quei maledetti li realizzavano anche i nostri sogni…

Arrivavano, pieni della loro incomprensibile cultura, ed avevano anche la forza di studiare e di apprendere le vite e le opere dei nostri scrittori, dei nostri poeti, e dei nostri filosofi. Quegli impuniti osavano entrare nelle nostre biblioteche – laddove era conservata la nostra letteratura, al di là di pesanti portoni, e sotto grigi strati di polvere – per poi appropriarsene. E si sentivano in diritto di studiare le nostre opere del passato, i nostri dipinti, le nostre gesta… solo perché noi li avevamo dimenticati. Solo perché avevamo venduto i monumenti. Solo perché, in fondo, a noi, della nostra cultura, non interessava più nulla.

Arrivavano, come sono sempre arrivati nella Storia, quei maledetti stranieri.

E, di volta in volta, erano i Liguri, gli Etruschi, i Camuni. Erano gli Oschi, i Lucani, i Sabelli, i Celti, i Volsci.

Erano gli Arabi, i Marocchini, i Libici.

A volte, eravamo anche noi.

Perché la civiltà è una pianta strana. Nella quale i fiori son radici, e le radici, a loro volta, sono fiori…

 

Federico di Leva

D’ARS year 52/nr 210/summer 2012

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