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Einstein on the beach. Appunti su un’opera-simbolo del Novecento

Assistere a un’opera come Einstein on the Beach è un po’ come trovarsi di fronte a un monumento. Non solo per l’imponenza dell’operazione ma per il ruolo che ha avuto nel segnare uno dei percorsi principali del teatro e più in generale dello spettacolo novecentesco.

Realizzata nel 1976 dopo due anni di lavoro da Robert Wilson e Philip Glass è stata programmata al Teatro Municipale Valli di Reggio Emilia (24 e 25 marzo 2012) dopo 36 anni. Un lasso di tempo che si fa un po’ sentire perché i tempi che stiamo vivendo chiedono un diverso tipo di teatro, ma che tuttavia non toglie il valore a un evento di questo calibro. Non fosse altro perché la struttura dell’opera – un progetto imponente e complesso – e il tipo d’immaginario che la caratterizzano – a cominciare dall’apparato visivo e musicale nel suo complesso – possono essere considerate delle utili lenti di osservazione dello spirito del tempo affermatosi dalla fine degli anni settanta e, forse, a capirne le implicazioni attuali. Soprattutto il rapporto strettissimo fra forma e contenuto che caratterizza l’estetica moderna e dopo moderna.

Trial, 2012
Trial, 2012

Per certi versi Einstein on the Beach rappresenta un lavoro irripetibile che ha saputo inventare una forma e un linguaggio specifici emergenti dalla sovrapposizione e dalla simultaneità di musica, testi, immagine, danza, ecc. secondo un’idea di “teatro musicale” spettacolare, più adatta cioè a una logica dell’intrattenimento che non all’espressione teorica o ideologica che pure ha caratterizzato un altro fronte della ricerca di quegli anni. Dal canto suo però l’Einstein ha aperto la strada al teatro musicale, ha infranto, le regole depositate in secoli di storia sia sul piano della scrittura e della drammaturgia, sia per le modalità di ricezione e di fruizione da parte del pubblico. Concepito come un flusso, in accordo con le forme della comunicazione che da lì a poco si sarebbero imposte sulla scena della fruizione mediale, televisiva in primis, il lavoro che dura all’incirca 5 ore autorizza il pubblico a prendersi autonomamente delle pause, uscire e rientrare a suo piacimento. Lo stesso Glass ha ammesso di non aver mai visto il lavoro tutto di filato, a differenza di tanti spettatori (compresa chi scrive)[1].

La struttura generale dell’opera è articolata in quattro atti, nove scene e cinque Knee Plays – interludi di raccordo che precedono i singoli atti e che fanno da giuntura come, appunto, il ginocchio – a partire dallo sviluppo di tre soggetti visivi: il Treno, il Processo, il Campo-Astronave. Questi tre quadri sono concepiti da Wilson come tre tipi di prospettiva e inquadratura distinti per creare un’ordinata sequenza di immagini in scala o, potremmo anche dire, dei piani di visione: dall’infinito e panoramico sguardo delle scene dell’astronave e nei campi aperti per i momenti di danza, alle nature morte viste a media distanza nel Processo fino ai ritratti ravvicinati dei Knee Play (eseguiti durante i cambi di scena). A questi settori spazialmente distinti corrispondono inoltre sia i passaggi notte-giorno, sia altri tre gradi di potenza espressiva nel gesto, nel linguaggio e nella musica che procedono da livelli d’intensità minima, media e più esasperata secondo uno schema di coordinate spazio-temporali in cui si sviluppa la composizione. Sorta, quest’ultima, di opera totale in cui la musica strumentale e vocale, cioè la grande composizione di Glass, la danza con le coreografie di Lucilla Childs, la scenografia e la regia rispettano in qualche modo la tradizione dell’opera classica già applicata da Wilson nei suoi lavori precedenti ma che in questo caso viene interrotta dalla mancanza di una vera e propria trama narrativa. L’Einstein è infatti sostanzialmente un’opera-ritratto senza storia aperta al processo di significazione dello spettatore a partire dalla “sua” immagine di un personaggio universalmente noto come Einstein. Qui evocato ad esempio dal violinista scapigliato in scena, dai performer vestiti con pantaloni larghi a vita alta tenuti su dalle bretelle, camiciola e scarpe da tennis e da altri elementi legati alla sua biografia.

Helga Davis and Gregory Purnhagen, Night train
Helga Davis and Gregory Purnhagen, Night train

Ecco allora che la struttura compositiva molto rigorosa è stemperata dalla aleatorietà dei contenuti, prodotti collettivamente anche dagli stessi attori, per costruire – secondo le parole di Wilson – una saga dei tempi moderni senza eroi e senza vinti. Testi e immagini rimandano alla cronaca americana e ai personaggi di quegli anni (come ad esempio il processo all’attrice criminale Patty Hearts, la canzone Mr. Bojangles, i Beatles, David Cassidy, ecc.). Il plot è composto dalla progressione di eventi e “quadri”, composizioni visive, tableaux vivent sviluppati parallelamente alla partitura musicale e all’uso stesso del linguaggio come strumento espressivo in sé più che come contenuto. Ed è quindi proprio nella struttura spaziale-temporale del lavoro, più che nel riferimento esplicito, che è possibile cogliere come l’opera «sia compenetrata dalle teorie relativistiche di questo “eroe” del Novecento – e renda percepibile allo spettatore e nel suo divenire – quel radicale mutamento nella percezione, soprattutto la percezione del tempo, che ha accompagnato il nostro sviluppo tecnologico, dalla locomotiva all’astronave (le immagini con cui, rispettivamente, si apre e conclude l’opera)»[2].

Non è dunque un caso se il riferimento del tutto indiretto al romanzo apocalittico e post-nucleare On the Beach (1956) di Nevil Shute sia stato collegato al titolo di un’opera dedicata ad Einstein e alle tragiche previsioni avveratisi con la Seconda Guerra Mondiale. Come non è forse un caso che l’ultimo testo dello spettacolo sia quello dei Due innamorati che riportano al possibile lieto fine un prodotto culturale che ha la sua matrice nell’immaginario collettivo occidentale.

Laura Gemini
D’ARS year 52/nr 210/summer 2012

 


[1] Philip Glass (1993), La mia musica, Edizioni Socrates, Roma.

[2] http://delteatro.it/dizionario_dell_opera/e/einstein_on_the_beach.php

 

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