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Art Biotech e Attivismo

La fine del ventesimo secolo è stata caratterizzata da un elevato interesse scientifico e mediatico per la biologia molecolare. Il completamento dell’intera sequenza del genoma umano, l’individuazione della funzione di diversi geni, lo sviluppo di coltivazioni transgeniche e la clonazione di animali, sono stati gli eventi che hanno segnato lo sviluppo di una coscienza sociale sulle implicazioni delle nuove biotecnologie. La genetica non è più dominio esclusivo della ricerca scientifica, ma diventa oggetto di dibattito filosofico e politico. In questa atmosfera diversi artisti hanno sentito la necessità di collegarsi con il mondo scientifico, di invaderne i laboratori e influenzare così l’opinione pubblica.

Una società biotecnologica trasmette valori di biodeterminismo, e analizza l’uomo sulla base delle piccole parti che lo compongono. L’arte biotech pone lo spettatore a diretto contatto con le ansie e le paure generate dalla coltivazione di piante transgeniche, dalla ipotesi di trapianti di organi su misura, dalla brevettabilità della vita e dai fantasmi dell’eugenetica. Lo fa utilizzando gli stessi strumenti della scienza, producendo oggetti reali che sono l’incarnazione di quelle inquietudini. La diffusione di informazioni su circuiti alternativi a quelli ufficiali diventa uno dei compiti degli artisti.

Il collettivo Critical Art Ensemble[1] è uno dei maggiori esponenti di questa pratica, che implementa organizzando eventi che toccano i nervi scoperti dell’opinione pubblica e che sono spesso causa di immotivate isterie collettive, drammatizzando la distanza tra la scienza e i sistemi di informazione. Secondo una loro recente affermazione queste azioni sono compiute al fine di “creare interventi molecolari e shock semiotici che contribuiscano alla negazione della montante cultura autoritaria”[2]. Lo strumento utilizzato è quello che essi definiscono Teatro-Scienza, in cui invitano gli spettatori a entrare in stretto contatto con le tematiche legate alle biotecnologie attraverso strumenti e materiali a uso normalmente esclusivo dei laboratori di ricerca.

Una delle prime perfomance del CAE che affrontava questi temi fu Flesh Machine[3] (1997-1998), in cui gli spettatori potevano visionare il sito di una sedicente azienda, la BioCom, che forniva sperma e prodotti di inseminazione artificiale. Era inoltre possibile fare il test per il proprio DNA. I dati e le cellule di sangue del volontario-donatore venivano poi registrate insieme a sue fotografie, in modo da dare allo spettatore la misura del valore di mercato del proprio corpo. In questa occasione il collettivo cercò di interrogarsi sulle questioni sollevate dal sequenziamento dell’intero genoma umano.

Nonostante le continue dichiarazioni degli scienziati protagonisti del Progetto Genoma Umano, che respinsero qualsiasi riferimento a un determinismo genetico, nessuno di questi nutrì alcun dubbio riguardo all’importanza della comprensione della sequenza del DNA per svelare i segreti della macchina uomo. È difficile isolare un’opinione che non abbia implicazioni morali e sociali. Nelle stesse pubblicazioni scientifiche, in genere, gli autori fanno ampio uso dell’opportunità di esprimere opinioni, spesso scientificamente non  fondate, riguardo a ciò che è considerato rilevante e a ciò che invece è visto come trascurabile.

Il CAE fa esplicito riferimento al Progetto Genoma Umano, chiedendo al pubblico di offrirsi come donatore per riempire il database genetico della BioCom.

La ricerca genetica contemporanea, il Progetto Genoma Umano e alcuni problemi giuridici collegati

Il sequenziamento avviato nella seconda metà del ventesimo secolo, infatti, si basava su un genoma ottenuto da diversi individui, cioè sul genoma di un “individuo medio” che non corrisponde a nessun campione statisticamente attendibile. Nel corso del Progetto Genoma Umano sono stati individuati diversi geni il cui malfunzionamento è causa di malattie gravi, ma non è ancora stata trovata nessuna cura su base genica che abbia prodotto risultati rilevanti.

L’avvento delle biotecnologie ha modificato molto i rapporti tra scienza e industria, portando a conseguenze fino a ora inimmaginabili. Le continue scoperte sul DNA hanno reso allettante la possibilità di sfruttarle economicamente attraverso lo sviluppo di nuovi farmaci. Seguendo la scia dell’entusiasmo riguardo a presunti miglioramenti delle pratiche mediche e della qualità della vita, le aziende chimico-farmaceutiche hanno deciso di conquistare il pubblico con una nuova immagine, definendosi life science industries [4].

La difficoltà più grande, adesso, è quella di interpretare le informazioni contenute nel DNA. Data l’elevata presenza di polimorfismi tra i diversi individui (il DNA consiste di circa tre milioni di basi), il genoma ottenuto è la risultante di diversi individui, quindi è il genoma di un individuo medio che non corrisponde in realtà a nessuno. Le conoscenze acquisite hanno notevolmente mutato la nostra idea di malattia. In alcuni casi, per esempio, sarebbe difficile stabilire quale malattia è da evitare a seconda delle condizioni ambientali. Per esempio, gli effetti dell’anemia falciforme diventano gravi solo in condizioni di stress fisico, e tuttavia la presenza del difetto genetico in alcune regioni del mondo rende la popolazione meno soggetta al rischio della malaria. Queste tematiche hanno portato allo sviluppo del progetto Society for Reproductive Anachronisms[5] (1999-2000).

Partendo da alcune scottanti questioni che infiammavano l’opinione pubblica in quegli anni, il CAE cercava di porre l’accento su una società che si autoriproduce in assenza di desidero. In quegli anni, infatti, l’attenzione mediatica americana era rivolta a diversi casi di molestie sessuali. Queste situazioni avevano creato una forma di psicosi collettiva nei confronti delle attenzioni sessuali tra individui. Contemporaneamente, però, era alto l’interesse nei riguardi di nuove banche di sperma, e c’erano aziende che promettevano servizi di riproduzione in vitro in una prospettiva tutta eugenetica. Il collettivo sottolinea con questo intervento come la “sessualità e la riproduzione siano da tempo state separate simbolicamente dalla divisione tra psicologia e biologia”[6]. Un gruppo di attivisti informava il pubblico sui danni dell’intervento della tecnologia nei processi riproduttivi e sulla funzione delle anomalie genetiche. In definitiva ciò che il gruppo ritiene interessante non sono le dinamiche che si vengono a creare, ma il modo in cui le componenti di tali dinamiche cambiano nel corso del tempo. Al posto della Chiesa, un tempo istituzione per la redenzione dei peccati legati alla sessualità e alla finitezza della carne, adesso c’è la codifica del genoma, divenuto lo strumento per coloro che sperano di trovare la grazia e la pace dell’immortalità. Questa tensione verso l’immortalità non si esprime più attraverso la preghiera o penitenza. Ma affinché la pura riproduzione del codice genetico riesca, si richiede una costante vigilanza, sia delle istituzioni che dei singoli (auto-sorveglianza). Infatti, se si vuole giungere a scoprire i segreti della vita attraverso il genoma, si deve avere una fede incondizionata nella sua onnipresente presenza.

La constatazione che erano in fondo solo dei semplici legami chimici a formare il DNA, non ha scoraggiato tutti coloro (e sono tanti) che intendevano sperimentare le infinite potenzialità di questa nuova scoperta. Tanto che molti sono stati gli scienziati che hanno accolto l’esperienza del sequenziamento del genoma umano con toni entusiastici. Walter Gilbert[7] arriva a paragonarlo al Santo Graal biologico, affermando: ”La ricerca del Graal biologico è andata progredendo a partire dagli inizi del secolo, ma ora è entrata nella sua fase culminante con la recente creazione del progetto genoma umano, che si pone come obbiettivo ultimo di acquisire tutti i dettagli del nostro genoma. […] Trasformare le nostre capacità di predire quello che possiamo diventare. Sicuramente modificherà a fondo il modo in cui la biologia verrà praticata nel ventunesimo secolo”[8]. Il biologo Richard Lewontin ha più volte criticato questo atteggiamento che tende a trasformare il DNA in un feticcio. Una molecola inerte, incapace di qualsiasi azione, che è solo parte di un complesso meccanismo cellulare, è diventata depositaria del significato dell’essere umano. “La più accurata descrizione del ruolo del DNA vede in esso il portatore dell’informazione che viene letta dal meccanismo della cellula nel processo riproduttivo. Insensibilmente, da portatore di informazioni il DNA viene poi di colpo trasformato in DNA come progetto, come piano, come disegno di costruzione, come molecola maestra. È il trasferimento nell’ambito della biologia della credenza nella superiorità del lavoro mentale su quello puramente fisico, del pianificatore e disegnatore sull’operaio generico della catena di montaggio”[9].

Il Critical Art Ensemble: i progetti più recenti

In The cult of new Eva[10] (2002), il CAE mette in scena la nascita di questa religione della scienza. I componenti del  collettivo, abbigliati di rosso come i frati di una nuova setta, invitano il pubblico a partecipare a rituali di iniziazione e a sermoni tecno-scientifici.

Il personaggio di Eva ha un significato simbolico rilevante, perché spesso è utilizzato anche nell’ambito scientifico per alludere allo sviluppo di una nuova genesi, una nuova nascita data dalla conoscenza genomica. Non bastano le prospettive di sviluppo entusiasmanti che hanno accompagnato ogni nuova scoperta tecnologica, la genetica risente dei fantasmi troppo vicini delle disastrose vicende legate agli studi sull’eugenetica dell’inizio del ventesimo secolo. L’attenzione allora si sposta sui possibili aspetti benefici nell’ambito della cura medica e della qualità della vita. Sfruttando questa corrente di pensiero molte aziende hanno pensato di poter sfruttare economicamente le nuove scoperte genomiche.

Nella seconda metà degli anni Settanta del Novecento sono nate le prime due aziende destinate a diventare colossi multinazionali: l’americana Genentech ideata da un giovane ventisettenne che vide già allora nella genomica una fruttuosa fonte di guadagno, e l’europea Biogen, messa insieme da un consorzio di investitori di capitali di rischio a caccia di scienziati. La corsa all’oro era iniziata. Nacquero diverse aziende, la maggior parte delle quali fondate da docenti universitari che ambivano a sfruttare commercialmente le ricerche iniziate nei laboratori degli atenei. Le cose si complicarono ulteriormente quando i geni divennero oggetto di brevetto.

Nel 1972 ci fu un caso destinato a creare un importante precedente giuridico. Il ricercatore della General Electric, Anand Chakrabarty, fece richiesta di brevetto per un batterio, lo Pseudomonas, in grado di eliminare le chiazze di petrolio dagli oceani. Fino a quel momento per neutralizzare una fuoriuscita di petrolio si era utilizzato un miscuglio di batteri. Chakrabarty era riuscito a produrre un unico batterio in grado di rispondere a questa esigenza. La sua prima richiesta venne respinta dall’ufficio brevetti. Ma dopo otto anni di battaglie legali, il 16 giugno del 1980, la Corte Suprema degli Stati Uniti stabilì, con quattro voti su cinque, che “un microrganismo vivente prodotto dall’uomo è materiale brevettabile”[11]. Le aziende farmaceutiche capirono fin da subito i vantaggi di una tutela legale di questo tipo. La Genentech fu la prima a ottenere un brevetto per la clonazione di una proteina umana, anche se la tecnologia di base per questa operazione era ormai da tempo diffusa.

Ci furono numerose richieste di brevetto non solo per i singoli geni, ma anche per le proteine corrispondenti e per tutte le invenzioni future a essi legate. La preoccupazione per il futuro della ricerca si fece evidente quando furono inoltrate richieste di brevetto anche per geni sequenziati parzialmente o per geni la cui funzione non era ancora nota.

La brevettabilità dei geni o di organismi geneticamente modificati (OGM) costituisce ancora oggi un tema scottante. L’utilizzo in campo medico della tecnologia del DNA ricombinante consente di controllare una cellula inducendola a produrre quasi ogni tipo di proteina. Le aziende che operano in campo zootecnico non hanno sottovalutato le nuove possibilità genetiche. La prima azienda a utilizzare un ormone ricombinante per aumentare la produzione di latte nei bovini fu la Monsanto, un’azienda tristemente nota per diverse scelte produttive discutibili. Lo scalpore suscitato da questo episodio fu dovuto principalmente alla impossibilità per il consumatore di distinguere tra latte ottenuto senza supplementi ormonali e latte ottenuto da bovini a cui era stato iniettato l’ormone.

Tra gli obbiettivi delle aziende produttrici di piante transgeniche grande rilievo ha avuto quello di creare piante resistenti ai parassiti e ai diserbanti, per garantire un minore utilizzo di pesticidi da parte dei coltivatori e per ottenere una maggiore produttività. In alcuni casi questo ha provocato la morte di specie diverse da quelle attaccate intenzionalmente. Inoltre molti affermano il pericolo di una ibridazione tra la pianta coltivata e quella infestante che potrebbe portare a un nuova specie superinfestante resistente ai diserbanti. Appare evidente come i dibattiti intorno agli organismi geneticamente modificati siano poco risolutivi riguardo alla loro utilità o alla loro sicurezza.

Il CAE propone una modalità di resistenza a questo sfruttamento economico incontrollato della modificazione genetica. Le aziende come la Monsanto basano la loro fortuna sulla tutela legale dei brevetti su genoma vegetale. Secondo il CAE questa invasione della proprietà privata in ciò che è patrimonio dell’umanità può essere combattuto con un “sabotaggio biologico fuzzy” (fuzzy biological sabotage, FBS). Il sabotatore fuzzy si muove in aree non ancora pienamente regolamentate.  Le armi di coloro che lottano contro la distruzione di interi ecosistemi per fini economici sono fornite paradossalmente dalle stesse aziende che questi combattono. Queste armi sono microrganismi, piante, insetti, rettili, mammiferi, OGM tattico, e composti chimici organici.

Uno dei primi artisti a utilizzare questo tipo di tattica fu Heath Bunting, tra i primi artisti dell’arte in Rete. Nel 1999, con l’operazione artistica Natural Reality Superweed, invita a un attacco planetario ai danni delle multinazionali che operano nel settore agricolo per la produzioni di sementi GM. Attraverso un sito distribuisce bustine contenti semi di piante diverse che, se coltivate, darebbero vita a delle piante superinfestanti.

L’artista faceva esplicito riferimento alla soia Roundup Ready della Monsanto, un tipo di pianta trasgenica progettata per essere resistente al diserbante Roundup prodotto dall’azienda stessa. I semi possono essere dispersi nell’aria anche attraverso il N55 Rocket System, un dispositivo di lancio simile a un missile in grado di sollevarsi a cinque chilometri di altezza. La presenza di piante superinfestanti è ormai una realtà. La graduale ibridazione delle piante infestanti con i pollini di piante trasgeniche segue lenti meccanismi naturali. Questo permette alle aziende come la Monsanto di potenziare nel tempo i propri prodotti. La diffusione sistematica su larga scala di sementi come quelle messe insieme da Bunting porterebbe invece a grosse perdite per la Monsanto, la quale si troverebbe di fronte alla improvvisa e totale inefficacia dei propri prodotti.

L’intera operazione, se pur velata di ironia, ha l’obbiettivo di formare una resistenza militante contro le prepotenze delle corporation degli OGM.

Il CAE ha proposto la produzione di questi semi in Molecular Invasion[12] (2002), azione-performativo-propagandistica in cui un punto informativo introduceva gli spettatori alle pratiche del sabotaggio biologico, mentre un gruppo di studenti e di attivisti metteva in atto un progetto di reverse engineering, in cui si cercava di modificare quei tratti specifici della manipolazione genetica in elementi di instabilità ambientale, in una pratica molto simile a quella dell’hacking.

Il collettivo è bene attento a non assumere una posizione del tutto contraria agli OGM: la sua principale preoccupazione sembra, in questa congiuntura storico-politico-culturale, quella di eliminare quelle componenti di allarmismo e disinformazione che rendono difficile la comprensione di determinati processi, e che al tempo stesso forniscono la copertura ideale per le aziende produttrici.

La mobilitazione di gruppi ecologisti e di consorzi per la tutela dei consumatori ha spesso contribuito a formare un’opinione pubblica contraria alla commercializzazione dei prodotti derivanti da coltivazioni transgeniche. In particolare in Inghilterra la stampa ha definito questi nuovi prodotti Frankenfood. Le obiezioni più frequenti nei confronti dei prodotti di origine transgenica riguardano la sicurezza per la nostra salute. Si è spesso affermato che non si tratta di prodotti naturali, e si è richiesta come tutela per il consumatore la possibilità di poterli identificare rispetto a prodotti definiti biologici. In realtà non ci sono ricerche che attestino la veridicità di tali affermazioni.

Probabilmente ciò accade perché le ricerche di solito vengono condotte dalle stesse aziende produttrici di questi organismi. Queste aziende, comprensibilmente, difendono la “naturalità” dei loro prodotti. È anche vero, però, che se si afferma che i prodotti transgenici sono sostanzialmente simili a quelli naturali, vengono a mancare le basi per la loro brevettabilità. Quello che maggiormente stupisce è che non si sia applicato in questo caso un principio di precauzione rispetto ai possibili effetti collaterali di questi cibi, con l’aggravante che le aziende produttrici declinano qualsiasi responsabilità legale in caso di effettive conseguenze negative.

D’altra parte i tanto decantati effetti benefici per la popolazione non sono ancora affatto evidenti. Sono stati fatti tentativi per migliorare le condizioni nutrizionali di diverse popolazioni, avviando la coltivazione di alimenti potenziati come il riso contenente betacarotene. Tuttavia le sostanze in essi contenute si sono dimostrate inutili, perché non assimilabili in una dieta non equilibrata. In Europa la presa di distanza verso questi prodotti è stata più sistematica, e ha portato la Comunità europea a introdurre delle leggi restrittive sulla loro circolazione. Ma in una performance, Free Range Grain[13] (2003), progettata appositamente per un pubblico europeo, il CAE invitava il pubblico a recarsi nei supermercati e ad acquistare dei comuni prodotti in vendita per poi analizzarli all’interno dell’evento. Risultava così che le leggi europee, per quanto restrittive, non erano in grado di controllare un processo di diffusione ormai in atto da tempo. Tuttavia l’azione serviva anche ad avvicinare a gente comune ai problemi inerenti alla tecnologia biologica, in modo da sfatare miti, speculazioni fuorvianti e disinformazione.

Un’altra perfomance del CAE che si pone questo obbiettivo è Geneterra[14], una serie di azioni con le quali il gruppo cercava di avvicinare i partecipanti al procedimento scientifico che sta alla base della creazione di nuovi batteri. Al pubblico veniva data la possibilità di applicare sul posto questo procedimento partendo da un prelievo di sangue. Alla fine di un percorso di informazione e scoperta erano i partecipanti stessi a decidere se liberare o meno il batterio nell’aria.

Una delle performance Geneterra, tenutasi nell’Aprile del 2002 presso l’Università di Washington, destò le preoccupazioni degli organizzatori e del comitato di biosicurezza dell’Università, che vietò la liberazione del batterio nell’aria perché ci sarebbe stata la possibilità di diffondere infezioni. Ma il batterio liberato nella performance muore a contatto con l’aria, e ciò dimostra che è proprio l’insufficiente conoscenza dei processi biologici a provocare timori ingiustificati. Anche in questa azione lo spettatore si confronta con le complesse problematiche delle biotecnologie per scoprire la difficoltà di stabilire che cosa è da considerarsi sicuro e che cosa non lo è.

La politica americana, successivamente agli avvenimenti dell’11 Settembre 2001, ha teso a strumentalizzare a proprio vantaggio la paura legata all’utilizzo di sostanze geneticamente modificate come armi batteriologiche. Il CAE ha cercato negli ultimi anni di svelare come questi argomenti, utilizzati a fini politici dall’amministrazione, fossero solo un espediente per limitare di fatto la libertà degli individui, e per giustificare discutibili azioni di politica estera. Nell’installazione del collettivo Germ of Deception[15] (2006), gli spettatori potevano vedere la documentazione di un’esercitazione tenutasi nel Pentagono nel 1942, e il batterio Serratia marescens utilizzato per simulare un attacco batteriologico all’antrace. In quella occasione il Pentagono valutò l’esercitazione come riuscita, ma dimenticò di menzionare che il 100% dei germi non indusse alcuna infezione e che non vi fu alcun caso di morte. Già nel 1932 scienziati che lavoravano per la CIA avevano dichiarato che un qualsiasi investimento per lo studio di armi batteriologiche sarebbe stato un inutile spreco di risorse. Infatti quel tipo di armi risultava essere controproducente e instabile, con scarse probabilità di ottenere i risultati cercati. In Marching Plague (2007), performance tenuta, invece, nell’isola di Lewis, in Inghilterra e a Liepzig, in Germania, il collettivo mette in scena un attacco batteriologico, immettendo nell’ambiente batteri modificati geneticamente senza naturalmente provocare alcun danno alla fauna, alla flora o alla popolazione.

Questa attività di controinformazione, volta a destabilizzare il potere politico e a riconquistare autonomia e libertà di pensiero, ha portato uno dei fondatori del gruppo ad affrontare pesanti conseguenze legali. L’11 maggio del 2004 la moglie di Steve Kurtz, anch’essa membro del CAE, Hope, morì di un attacco di cuore nella loro casa di Buffalo. La polizia di Buffalo fu allarmata dalla presenza di materiali biotecnologici che erano stati esposti in musei e gallerie di tutta Europa e Nord America, e chiamò l’FBI. Il giorno successivo il fondatore del CAE fu arrestato e illegalmente detenuto per 22 ore dagli agenti dell’FBI e dalla Task Force anti terrorismo, i quali lo informarono di essere sotto inchiesta per bioterrorismo.

Dopo una settimana, solo dopo che il commissario della salute pubblica dello stato di New York aveva annunciato che non c’erano minacce per la pubblica sicurezza, fu permesso all’artista di ritornare a casa. Steve Kurtz e Robert Ferrel, collaboratore del CAE, per quattro anni hanno affrontato l’accusa di frode fiscale a causa dell’Usa Patriot Act.

Da pochi mesi i due sono stati prosciolti da ogni accusa, ma a causa di questo caso, molti dei produttori indipendenti che un tempo rifornivano di materiale biologico amatori o hobbisti scientifici sono adesso sottoposti a controlli più rigidi[16]. Questo minaccia l’attività di attivisti come il CAE nella diffusione di informazioni che purtroppo, oggi, non possiamo più essere sicuri, come un tempo, di ricevere da un mondo scientifico ormai tristemente legato alla speculazione economica. Il collettivo pensa che sia indispensabile per gli spettatori del loro Teatro-scienza fare esperienza diretta delle possibilità e dei pericoli delle biotecnologie, senza delegare ad altri il compito di formare la propria opinione. Utilizzare gli strumenti della scienza permette di darle un nuovo significato, spingendo anche a riflessioni in contrasto con l’atteggiamento scientifico dominante.

Altre esperienze di Art Biotech

Il CAE non è solo in questo lavoro. La complessità di significati che esso raggiunge è infatti possibile grazie allo stretto legame con il mondo della ricerca anche di altri artisti, che riescono attraverso contatti del genere ad avere una migliore comprensione dei processi in azione nel sistema scientifico. Il collettivo SymbioticA è uno degli altri gruppi che ha creato una situazione in cui questo può accadere. Fondato da Oron Catts e Ionat Zurr, ha sede nell’istituto di anatomia e biologia dell’Università di Perth in Australia occidentale. Si tratta di un laboratorio-ateiler che dispone degli strumenti necessari per concretizzare opere frutto di varie competenze.

Per questo motivo il collettivo SymbioticA sostiene ed ospita nelle sue strutture il progetto Tissue Culture and Art Project. Un progetto che fa uso delle tecnologie della coltivazione dei tessuti per creare sculture semi-viventi. Gli artisti coinvolti si avvalgono di strutture ibride a base di polimeri biodegradabili e di cellule staminali, che opportunamente trattate si differenziano in qualunque genere di cellule specializzate. Si può creare per esempio tessuto osseo, cartilagineo ed epidermico utilizzando anche bioreattori per operare in assenza di gravità.

La prima delle loro opere è stata Semi-living Worry Dolls presentata ad Ars Electronica nel 2000. In questo lavoro il collettivo rielabora in chiave moderna un’antica usanza del Guatemala. Questa prevede che durante le ore della sera i bambini condividano le proprie preoccupazioni con delle bambole, in modo tale che queste possano dissipare i loro affanni durante la notte. Per ogni giorno è possibile confidare alle bambole solo sei delle proprie angosce.

L’istallazione è costituita da sette bambole sacciapensieri semi-viventi: sette perché, sebbene siano concesse solo sei preoccupazioni, è indubbio che ci siano molte più questioni da risolvere. A ogni bambola è associata una lettera dell’alfabeto che corrisponde a una delle diverse paure suscitate dalle biotecnologie.

Le bambole sono costituite da tessuto osseo ed epidermico che si sviluppa su di un supporto di polimeri biodegradabili. I polimeri si decompongono con lo sviluppo dei tessuti. Questo le rende parzialmente vive e soggette a dei cambiamenti imprevedibili. La loro forma si dissolve portando via con sé le inquietudini della società contemporanea.

Dovremmo così essere liberi dalle preoccupazioni sollevate dalla presunta verità assoluta (A=Absolute truth), dalla biotecnologia (B=Biotecnology), dal capitalismo (C=Capitalism and Corporations), dalla demagogia (D=Demagogy), dall’eugenetica (E=Eugenetics), dalla paura della paura (F=Fear of Fear itself), dai geni (G=Genes) e dalla paura della speranza (H=Hope).

Questa azione è stata concepita dal collettivo come una performance in cui il pubblico era invitato quotidianamente ad assistere alla pratica di nutrizione di questi esseri semi-viventi. Si trattava di una riflessione sulle responsabilità che la creazione di questa nuova categoria del vivente, il semi-vivente, porta con sé. The Feeding Ritual cerca di ricordare la necessità di cure e attenzioni per queste sculture, altrimenti destinate alla morte. Alla fine dell’esposizione il collettivo si ritrova di fronte a un’altra sfida, quella dell’uccisione delle propria creatura. In The Killing Ritual l’attenzione si sposta perciò sulle responsabilità che abbiamo nel decidere ed eventualmente eseguire il destino di queste creature. In un vero e proprio rituale il pubblico assiste all’uccisione delle sette bamboline. L’installazione ha sollevato polemiche nell’opinione pubblica riguardo all’acquisizione di cellule staminali o di tessuti da organismi viventi per scopi artistici o commerciali. Ma l’obbiettivo fondamentale era quello di avvicinare il pubblico all’ingegneria tissutale al di là di immotivate paure, per far comprendere come tale tecnologia possa essere anche una opportunità ecologica. Mentre in questo progetto gli artisti chiedono al pubblico di prendersi cura di queste entità, in uno successivo gli chiedono invece di avere un approccio più aggressivo, e cioè di consumarle come cibo.

In Disembodied Cuisine, presentata per la prima volta alla mostra L’Art Biotech a Nantes nel 2003, la produzione di tessuti diventa la risposta alle problematiche ecologiche ed economiche dell’industria del cibo. SymbioticA produce tessuto muscolare di rana su un supporto di biopolimeri commestibili. Queste bistecche di anfibio sono state create grazie a una biopsia sull’animale, che così non veniva sacrificato alla ricerca o all’arte, ma continuava a vivere. L’istallazione culminava con una “festa” in cui gli spettatori degustavano questo nuovo alimento alla presenza delle rane da cui esso derivava. Il rapporto tra l’uomo e le altre specie viventi nel corso della storia è stato caratterizzato da una incerta divisione tra ciò che è considerato da mangiare e ciò che non lo è. La possibilità di cibarsi di parti di un animale ancora in vita si inserisce in questa labile suddivisione, ipotizzando scenari futuri in cui sarà possibile alimentarsi senza che vi siano vittime. La possibilità di produrre da poche cellule quantità di tessuto superiori all’effettiva dimensione delle rane contribuisce a concepire quel materiale come un’entità astratta distaccata dall’animale. Riferendosi al proprio lavoro, il collettivo afferma: “Le entità semi-viventi sono degli oggetti evocatori che mettono in luce le contraddizioni tra i nostri sistemi di credenze e di valori e le nuove conoscenze che ci consentono di manipolare gli organismi viventi. Le nostre credenze sembrano incapaci di rendere conto delle questioni epistemologiche, etiche e psicologiche sollevate dalla scienza e dall’industria della vita. Le entità semi-viventi incarnano la nostra ipocrisia nei confronti del mondo del vivente e dello sfruttamento dei sistemi viventi a fini antropocentrici”[17].

In modo simile il lavoro Workhorse Zoo[18], di Adam Zaretsky e Julia Redioca, attraverso l’esibizione pubblica di forme di vita industriali ha cercato di avviare un dibattito sui pro e i contro della ricerca sugli animali che non fosse influenzato da risposte già pronte. L’istallazione mostrava nove tra le specie più studiate dalla biologia molecolare moderna, messe a convivere in una stanza di vetro. Questi organismi così esposti divenivano simboli ironici dell’odierna esposizione mediatica degli organismi geneticamente modificati. Gli artisti, nell’arco dei sette giorni di durata dell’esposizione, avviavano una serie di interazioni con gli organismi e il pubblico: queste azioni prevedevano l’uccisione e la degustazione di parte degli animali esposti, nella volontà di inserire questi esseri all’interno della naturalità della catena alimentare. Una istallazione molto lontana dallo spirito del CAE. Questo tipo di iniziativa, infatti, tende più a giustificare e a estetizzare le pratiche delle industrie tecnologiche che a suscitare una effettiva riflessione scevra da condizionamenti.

Il collettivo cyberfemminista Subrosa, invece, appare più in linea con le tematiche e gli obiettivi che si pone il CAE. In U-Gen-A-Chix[19] un gruppo di studenti era invitato a riflettere su come i desideri e i profitti guidino l’industria biotecnologica e influenzino la coscienza pubblica sull’eugenetica. La performance prevedeva che ci fosse un gruppo di attiviste impegnate a informare il pubblico sulla donazione di ovuli umani e sulle tecniche di riproduzione assistita, mentre contemporaneamente veniva fatto degustare un biscotto di pollo potenziato geneticamente. Questo biscotto aveva la pretesa di migliorare l’intelligenza e la memoria dello studente. Alla fine della degustazione gli studenti rilasciavano un’intervista video in cui esprimevano le loro opinioni sull’ingegneria genetica e sulle tendenze eugenetiche biologiche e sociali. Gli studenti compilavano poi dei questionari che avevano l’obbiettivo di valutare la loro “Fleshworth” sul mercato dei tessuti biotech. L’opuscolo della performance, “Culture di eugenetica”, si interrogava sulle questioni relative alla riproduzione assistita chiedendosi: “Perché le donne sono come i polli?” e mettendo in luce come tali tecniche fossero collegate all’ingegneria genetica dei polli, alla clonazione, all’eugenetica e all’allevamento. Questo è solo uno dei lavori di questo collettivo, che negli anni ha affrontato diverse scottanti tematiche relative all’eugenetica e alle nuove tecnologie biotecnologiche, con particolare attenzione alla loro declinazione femminista.

L’attenzione è tutta rivolta alle implicazioni etiche legate al corpo. Diventa così plausibile anche la vendita di caviale dell’artista Chrissy Conant. Il Chrissy Caviar®[20], caviale di uomo varietà caucasica, è concepito come un prodotto destinato alla vendita, confezionato come del caviale di storione. I dodici barattoli contengono un nuovo prodotto frutto dello sviluppo tecnologico. L’artista americana si sottopone a un ciclo di trattamenti ormonali per forzare il proprio corpo a produrre un numero di ovuli superiori alla norma, un tipo di procedure usuale nei casi di fecondazione assistita. Alla fine del trattamento i dodici ovuli prodotti vengono prelevati e confezionati con tecniche mediche standard. Lo sfruttamento del corpo per scopi commerciali diventa una scelta dell’artista nella consapevolezza del suo valore economico sul mercato. Gli ovuli femminili spostano l’attenzione sul ruolo della donna e del suo corpo. I limiti imposti dalla cultura giudaico-cristiana vengono forzati nel punto di maggiore sensibilità, la sacralità del concepimento. Il corpo non è più un’entità inviolabile ma divisibile e commercializzabile.

Il campo delle biotecnologie, come si è visto, pone diversi interrogativi e spesso gli attivisti si trovano di fronte a un dubbio sostanziale: per chi stanno effettivamente lavorando? Si tratta di un campo molto vasto, dove non è escluso che molte scoperte possano essere utili per il genere umano. Secondo il CAE, purtroppo, ci sono però delle aree più problematiche che devono essere identificate, e su di esse va costruita una biologia contestativa. La paura e la disinformazione non permettono il formarsi di una  consapevolezza. Il primo obiettivo, quindi, è quello di eliminare quelle paure. In un secondo momento è importate fornire una informazione adeguata liberandola dai vincoli di una conoscenza specialistica. Lo stesso collettivo statunitense afferma di non avere la certezza dei risultati di questo tipo di contestazione. Tuttavia i momenti di cambiamento sono quelli più fecondi per una politica sovversiva, e la presenza di uno spirito critico costituisce un elemento fondamentale nell’interesse  pubblico generale[21].

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[1] E’ un gruppo composto da Hope e Steve Kurtz, Steve Barnes, Dorian Burr, Beverly Schlee. Nato nel 1987 a Talahasse in Florida. Lo scopo del Critical Art Ensemble è quello di boicottare, bloccare, interrompere i flussi di dati gestiti dall’apparato finanziario per rendere le informazioni maggiormente fruibili ai più e non solo ai potenti del mondo. I mezzi utilizzati sono libri, performance e quelli che vengono definiti “media tattici”. CAE è un collettivo di cinque artisti di varie specializzazioni dedicato all’esplorazione delle intersezioni tra arte, tecnologia, attivismo politico radicale e teoria critica.

[2] Da http://www.eleuthera.it/files/materiali/cae_materiali_approfondimenti.pdf

[3] Presentato in più gallerie-laboratori in Europa e America.

[4] Industrie delle scienze per la vita

[5] Presentato all’Expo Destructo, Londra, 1999 e alla Routhers University, New Brunswick, 2000 .

[6] Dal sito  http://www.critical-art.net/biotech/sra/index.html

[7] Walter Gilbert è uno dei protagonisti del Progetto Genoma Umano, insignito del premio Nobel per la chimica, nel 1980.

[8] Cfr. Richard Lewontin, Il sogno del genoma umano e altre illusioni della scienza, Laterza, Roma-Bari 2004, p.108.

[9] Ivi, p.113.

[10] Presentato al Museo di arte contemporanea, Toulouse, Francia, a Bruxellles e allo Steirische Herbst alla esc Gallery. Realizzato con Paul Venouse e Faith Vilding.

[11] Sentenza 447 U.S. 303: “A live, human-made micro-organism is patentable subject matter under 101. Respondent’s micro-organism constitutes a “manufacture” or “composition of matter” within that statute. Pp. 308-318.” da http://caselaw.lp.findlaw.com/scripts/getcase.pl?navby=CASE&court=US&vol=447&page=303

[12] Presentato al World Information Organization, ad Amsterdam e al The Corcoran, Washington DC . Realizzato con Beatriz da Costa e Claire Pentecost.

[13] Presentato alla Esc Gallery Graz , Austria. Realizzato con Beatriz da Costa, Shyh-shiun Shyu Shirn Kunsthalle .

[14] Sviluppata da una laboratorio di Pittsburgh.

[15] Tenuta a Kunstbygning, Aarhus

[16] Da Critical Art Ensemble di Annamaria Monteverdi  dal sito http://www.digicult.it/digimag/article.asp?id=790

[17] SymbioticA  in Hauser J, L’art biotech, Le lieu unique, Filigranes editions, Nantes, 2003 (trad. it. a cura di Capucci P.L. e Torriani F. Art Biotech, CLUEB, Bologna, 2007 p. 49)

[18] Presentato per la prima volta durante la mostra L’Art Biotech a Nantes nel 2003.

[19] Tenuta per la prima volta al “XI International Performance Art Festival: Out of Focus,” ExTeresa Arte Actual, Mexico City, July 11, 2003. e in collaboration with Carolina Loyola-Garcia, “Arte Nuevo InteractivA’05,” Patio Central del Centro Cultural de Mérida Olimpio, Mérida, Mexico, June 25, 2005.

[20] Esposto a L’ArtBiotech, Le Lieu Unique, Nantes, 2003.

[21] Critical Art Ensamble, The Molecular Invasion, Autonomedia, USA, 2001 (trad. it. a cura di Milani C., L’invasione molecolare, Elèuthera, Milano, 2006 pp. 31-34)

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