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ESCRITOS EN LOS CUERPOS CELESTES – Arte e linguaggio nell’istallazione di Soledad Sevilla

Elena Cappelletti

Sms, mail, chat: miliardi di messaggi viaggiano nell’etere e riempiono di comunicazione la nostra quotidianità. Spesso, rileggendo si scopre che il testo inviato è un trionfo di segni impiegati per comporre gli emoticon, le riproduzioni stilizzate costruite con virgole, punti, parentesi e trattini e usate dal mittente per suggerire la propria emozione così come sarebbe espressa dal linguaggio non verbale se ci si trovasse vis-à-vis. La punteggiatura fornisce un nuovo strumento alla comunicazione scritta, scandendo le pause e il ritmo del discorso con degli intermezzi analogici che assumono il volto di simpatiche faccine gialle che sogghignano, piangono, si arrabbiano: la scrittura digitale, elettronica e generata con un codice binario, cerca di sopperire la mancanza della dimensione analogica reinventandosi con la punteggiatura.

 

L’istallazione Escritos en los cuerpos celestes di Soledad Sevilla mi ha suggerito un nuovo punto di osservazione del linguaggio tecnologico, stimolando una riflessione sul cortocircuito tra comunicazione – segno – destino. Collocata nel Palazzo del Retiro di Madrid dal 10 Novembre 2011 al 29 Aprile 2012, l’opera dell’artista valenciana è una riproduzione in scala del palazzo ottocentesco che la contiene e, come il suo involucro, è un contenitore trasparente fatto di pannelli in policarbonato blu che, attraversati dalla luce del sole creano una stanza interna dal suggestivo colore blu-violaceo. Lo stupore accresce quando, avvicinandomi alle pareti, mi accorgo che le fessure altro non sono che i segni della punteggiatura: punti interrogativi, virgole e parentesi si inseguono armonicamente sulle superfici dell’intera architettura che in questo modo condensa il valore della mappa celeste, del cielo natale e della dimora linguistica. Entro nel Palazzo del Retiro, alzo gli occhi e vedo un cielo stellato; cammino nell’opera e, mentalmente, vedo la posizione del mio corpo nello spazio e lo proietto nella dimensione più vasta del viaggio: il lavoro di Sevilla metaforizza il primitivo viaggio dell’uomo che si affidava alle costellazioni per tracciare la propria rotta e raggiungere la meta. Dalla visione cosmica focalizzo su un punto del cielo e scopro i segni della punteggiatura, quei segni che scandiscono quanto Heidegger definisce la dimora dell’essere: il linguaggio. Iscritto nei corpi celesti (traduzione del titolo) c’è dunque il destino dell’uomo, che nasce condizionato dalla disposizione degli astri nel momento della sua nascita, attraversa il mondo affidandosi o scontrandosi con le stelle natali e impiega il linguaggio concessogli a suo uso e consumo per dare significato a ciò che lo circonda.

Come una scatola cinese crea una sequenza vertiginosa di parallelismi, l’opera di Soledad Sevilla apre infiniti collegamenti all’interno della stessa storia dell’arte, alle riflessioni sul linguaggio artistico e verbale e al modo con cui quest’ultimo sta cambiando e, al centro di tutto, l’ultima scatolina, chiede allo spettatore di rispondere alla domanda su che linguaggio usiamo per scrivere la nostra storia nel mondo J.

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