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Festival del Film di Roma: I milionari

Nulla di nuovo sotto il sole. Questo è quello che viene da pensare guardando l’ultimo film di Alessandro Piva, I milionari, in concorso nella sezione Cinema d’oggi al Festival del film di Roma 2014, a proposito del quale abbiamo già parlato dei film Last Summer e Trash. Le serie televisive andate in onda su Sky Romanzo Criminale e Gomorra hanno già detto e fatto tutto quello che si vede nel film del regista di La Capa Gira e Mio cognato, opere che nel trattare soggetti noti avevano invece osato, esplorando e azzardando nella scrittura e nello stile così da ampliare lo sguardo.

I milionari racconta la storia dei fratelli Cavani, dagli anni settanta ai duemila, dallo spaccio di fumo al traffico di eroina e poi di cocaina, in una Napoli livida e grigia, uno scenario triste per una storia dove le vendette e i rimorsi si consumano senza pathos né vigore alcuno. I quartieri spagnoli prima della Scampia di Gomorra, sono il palcoscenico del dramma di Marcello, alias Alendelon: attraverso la sua voce narrante assistiamo al susseguirsi delle sue scelte, dei suoi dubbi e delle sue speranze e si capisce da subito che la prima sarà l’ultima scena, attraverso un espediente narrativo collaudato agevole nel tenere assieme i pezzi di un lungo flashback che deve coprire trentanni di corruzione, guadagni e perdite “milionarie”, per l’appunto.

Marcello sognava una vita normale, con una moglie e un lavoro, ma è costretto a scendere a compromessi e acconsente a fare il boss cercando di separare il lavoro dalla famiglia, come gli fa giurare Rosita sull’altare: “il lavoro non dovrà mai entrare in casa” e Marcello promette, ma dice anche a Rosita che lo sfarzo e il lusso di quel matrimonio sono stati possibili solo grazie al suo lavoro. La donna del boss pretende cose, ma non vuole sapere come queste le arrivano in casa, come se il fingere di ignorare sia il mezzo per restarne pulita, distante. Ad un certo punto Marcello dovrà fare i conti con l’impossibilità di chiudere fuori dal cancello il marcio del suo lavoro e quando “gli entra in casa” ne pagherà le conseguenze.

Ispirato ad una storia vera, il film è melenso, muove a fatica laddove altri registi si sono mossi con più audacia e successo fino a ricalcare scene che, come dicevo, si sono già viste. Un esempio su tutti: la vendetta contro il Pirana (l’incendio di notte della casa del Pirana) segue passo passo quella della vendetta contro Conte nel primo episodio di Gomorra. Alessandro Piva segue una sceneggiatura che mette troppa carne al fuoco (il rimorso, il pentimento, la vendetta….) senza focalizzare su un tema, col rischio e pericolo di non lasciare nulla a chi esce dalla sala. Il rischio l’ha corso e io sono andata a casa con niente.

Elena Cappelletti

 

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