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Here. Un road movie

Gandzasar Monastery
Gandzasar Monastery

Un passato da director di videoclip musicali e documentari ed ora il primo lungometraggio: Braden King ha presentato nel 2011 Here, scelto per l’inaugurazione del MiFF – Milano Film Festival dove ho avuto modo di vederlo e di apprezzarne la grezza ed intensa profondità. Quindici anni di viaggi hanno segnato l’avanzare del progetto artistico, che il regista ha costruito lungo le strade e nei territori dell’Armenia per raccogliere le immagini che offrissero consistenza all’avverbio che titola il lavoro[1]. Il viaggio come dimensione consustanziale dell’opera e, parimenti, elemento simbolico che rafforza il patto tra contemporaneità e tradizione: le cartine di Google non saziano i bisogni di scoperta e conoscenza di uomini che dai tempi del mitico Ulisse partono on the road. Cosa si nasconde oltre l’essere qui (here) oggi così visibile e determinabile quanto impalpabile? Dal viaggio di Braden a quello di Will e Gadarine, i due protagonisti del film. Le immagini in movimento ripercorrono gli atavici e mai soddisfatti interrogativi attraverso il testardo tentativo di Will di tracciare la mappa di un luogo (fisico e mentale) sconosciuto, la necessità e la scelta di entrambi di fuggire, la visione archeologica di Gadarine: questi tre percorsi convergono nell’urgenza di dare valore al presente.

Will è un cartografo: armato di computer, telescopio satellitare e cartine è alle prese con la mappatura di una regione poco conosciuta dell’Armenia; la mappa geografica è per lui il modo di vedere il mondo mentre per Gadarine lo sono le sue fotografie, visioni-oggetto determinanti nel fare incontrare le loro strade: nell’atto di raccoglierle le foto cadute dal tavolo, Will raccoglie la sfida di confrontare la propria visione con quella della donna. L’emergere delle relazioni tra le cose, più delle cose stesse pone sempre nuovi significati[2] e così il nascere di un rapporto tra i due avventurieri modifica le rotte dei rispettivi viaggi causando un cambiamento tanto casuale quanto rivoluzionario. La necessità di osservare da prospettive differenti non è un suggerimento fine alla narrazione: è un imperativo morale e civile che oggi vale per riconquistare un mondo tanto scientificamente codificabile quanto umanamente indecifrabile. Se Will all’inizio è attrezzato di tutto punto per costruire la sua cartina, alla fine saranno le sparpagliate fotografie di Gadarine a ricomporre la mappa di cui lei era originariamente sprovvista e che lui ha nel frattempo perso; aver toccato e poi preso per mano una visione differente ha dato nuova consapevolezza che è diventata decisiva per ridefinire la rotta delle proprie vite.

Il secondo elemento di lettura del film è la strada. Topos del road movie, la strada è lo sfondo che ci accompagna dall’inizio alla fine e che, muovendosi sinuosa nel paesaggio o infrangendosi tra i palazzi delle città, svuota e riempie di presenze lo scenario. Si parte con uno stato di fissità della natura: lo sterminato paesaggio ripreso in campo lungo a macchina ferma è tagliato da un’auto, che avvicinandosi colma il silenzio della natura la quale assiste indifferente al suo incedere così come nella scena finale, dove l’uomo si disperderà per propria scelta. Da una condizione necessaria ad una scelta consapevole: Will, che era alla guida dell’auto, in origine era costretto dal proprio lavoro a entrare nella natura mentre alla fine sarà lui a decidere di affrontarla; simile il percorso di Gadarine che, costretta da ragioni politiche a lasciarlo, ritorna nel proprio paese per guadagnarsi il proprio posto. E non è un dilemma lontano da chi oggi si trova in Italia: quanti giovani si stanno interrogando se è meglio restare o partire (fuggire?)? La libertà di ognuno si gioca nella scelta della strada da imboccare al bivio e, come mostra il film, entrambe le soluzioni possono essere giuste.

Maps
Maps

La ricerca delle proprie radici è l’ultima direttrice. Il bisogno di mappare il territorio, fisico e mentale spinge ad un viaggio che è la ricerca di significati valevoli nel presente se compresi nel passato prossimo, che va scandagliato secondo un’azione di scavo archeologico nelle trame impalpabili dei propri spazi mentali. Il significato che la Storia acquista è iscritto nella visita di Gadarine alle rovine sperdute, dove si ritrova per caso insieme ad un gruppo di turisti; questa scena è l’epifania di tutto il percorso a ritroso che la donna ha compiuto ritornando nella sua terra e che è suffragato dalla sua capacità di cogliere i resti e rimetterli insieme come testimoniano le fotografie con cui disegnerà la mappa donata alla madre prima di rimettersi in viaggio, da quel posto che ha compreso essere l’here da cui partire.

Esisterà sempre uno spazio che, per quanto dettagliata sia la cartina di un uomo, non ha delle spiegazioni ma deve essere accettato, attraversato e ricordato per dare significato al proprio essere qui, quell’here che è il punto mobile e per questo sfuggente nelle vite di ciascuno.

Elena Cappelletti

D’ARS year 51/nr 208/winter 2011


[1] Sul progetto di Braden King rimando direttamente al sito: http://herefilm.info/. Per la filmografia si legga la pagina dedicata sul portale IMDB: http://www.imdb.com/name/nm0454512/.

[2] Rossi, Aldo, “Quaderni azzurri” , Mondadori Electa 1999.

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