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“How it is”. Miroslaw Balka al Tate Modern di Londra

"How it is", Miroslaw Balka foto di Gianluca Onnis
“How it is”, Miroslaw Balka
foto di Gianluca Onnis

Non è la prima volta che vado a Londra. Non è la prima volta che ne assaggio le delizie etniche e il viavai di gente indaffarata e scontenta. La City, Brick Lane, Camden Town, Chelsea. Londra è un incrocio multicolore di archetipi umani: lo spaccone, l’ubriaco, l’uomo d’affari, il sedicente rivoluzionario. Come tutte le capitali è una scuola per aspiranti sociologi, è metafora dell’interculturalità, del mondo a venire. Qui temi sempre che possa succedere qualcosa, qualsiasi cosa. Ti senti piccolo al cospetto della Saint Paul’s Cathedral e, non l’avresti mai detto, minuscolo nell’osservare il London Eye guardato tra le sculture di Dalì. Percorrendo il Millenium Bridge, si scorge l’imponenza del Tate Modern, meta della nostra passeggiata. Un caffè e si parte. instEntrato, mi chiedo: “Beh e l’opera dov’è?” Un momento dopo, mi accorgo che l’Opera trionfa. Eccola.

Nella Turbine Hall, un’enorme struttura metallica, tredici metri per trenta, è “How it is” di Miroslaw Balka, poliedrico artista polacco partecipe delle Unilever Series del museo britannico.

Miroslaw Balka, foto di Gianluca Onnis
Miroslaw Balka, foto di Gianluca Onnis

Balka, già visto alla Biennale lagunare del 1993, è artista malleabile all’uso dei più disparati materiali tra i quali capelli, sapone e cenere con cui disegna il male di vivere e l’inquietudine della Fine, onnipresente memento mori ereditato da suo padre, scultore di pietre tombali.

La struttura rettangolare, essenziale e sublime nella sua perfezione geometrica, ma totalmente buia all’interno, è una chiara allusione alla rampa d’ingresso al ghetto di Varsavia o ai vagoni che deportavano gli ebrei verso i campi di Auschwitz e Treblinka. E come quegli uomini stipati all’interno di camere oscure facevano la Storia, noi spettatori siamo invece l’Opera, la sua Storia.

Interagendo col buio assoluto, in cui, inermi, siamo risucchiati, perdiamo ogni contatto con la realtà, i nostri sensi lavorano a vuoto e i concetti spazio-temporali di minuti o profondità rivelano la loro fallacia.

Dannatamente non si riesce nemmeno a distinguere un contorno di viso umano: pur in compagnia si è soli, non si riescono a percepire nemmeno le proprie membra. Qui no, qui c’è l’assoluta oscurità dei sensi e della mente: un black out. È una sensazione strana, forse inumana, quella di non avere punti di riferimento, sapere di essere nudi e soli nella notte senza nè stelle nè luna. Non si ha più nemmeno un filo di voce per gridare all’altro il proprio disagio. Qui non c’è un altro, qui ci sei solo tu: “così com’蔓How It is”. C’è ben poco da comprendere, da afferrare… si ghermisce qualcosa di consistente, nell’oscurità siamo polvere di stelle, comete senza magi a cui indicare il cammino. Difficile tradurre in parole che dici umane il vuoto, quel buio dei sensi che cercano disperati un appiglio. No, non ora, non qui. Tutto è diverso, adesso; è l’Arte che detta le regole, devi stare al suo gioco, non c’è via d’uscita. Arte: qui ne sei parte. Ma ci pensate? Una gigantesca camera oscura. Ci entri e… il Sublime, il Mistero. Colombo e le sue caravelle. Al suo cospetto sei solo un ometto od una donniciola piccola piccola, sei il punto interrogativo che termina ogni tua frase intestina.

Qui, nel mondo dell’Arte, viva, esistenziale, non conta il tuo nome, non più il tuo lavoro, non il tuo conto in banca. Qui ci si riappropria del pulsare del proprio cuore, della propria tempia impazzita. Fuori controllo. Palpi l’horror vacui, lo mastichi, lo inghiotti. Ma, esso è il nulla, pervade e sostanzia di mancanza d’essere. Qui, sei solo (con) te stesso, sei unico autore dello scacco della tua esistenza sensoriale. Qui non c’è nulla per cui i sensi possano dire “lo sento”. Tutto è nella tua mente, essa è una scatola buia, oppressa da un coperchio gravoso: è lo Spleen, è Baudelaire e le sue notti parigine passate alla ricerca di una luce pubblica sempre più fioca, fino a spegnersi. How It is. Ogni colore, qui, è simile ad un altro: non esiste, è acquaragia.

Se l’interpretazione di fatti è cosa ben difficile, interpretare il monumento aere perennis di Balka è cosa angosciante, proibitiva, ma tuttavia da fare. Non nascondo che l’istinto di conservazione, a tratti, mi censura lo spendere parole e pensieri su un’opera così inquietante, ma l’opera è lì… e reclama a gran voce una impressione, uno sconvolgimento interiore: un’interpretazione, per quanto dura essa sia. “Così com’è”.

Marco Caccavo

D’ARS year 50/nr 201/spring 2010

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