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L’archeologia del presente al padiglione israeliano

Ai Giardini della Biennale, di fianco al neoclassico ed essenziale padiglione degli Stati Uniti, Israele si fa notare da subito presentando il lavoro dell’artista israeliano Tsibi Geva (1951), a cura di Hadas Maor. L’edificio perde la sua connotazione architettonica originaria: lo strato protettivo trasforma l’intero padiglione in una scultura visibile anche da lontano. La struttura del padiglione israeliano è interamente ricoperta da centinaia di pneumatici usati, portati da Israele e legati insieme, in modo tale da creare una griglia che la avvolge e la protegge. I pneumatici usati, impregnati del loro forte e tipico odore, formano una serie di vuoti e contemporaneamente attestano uno stato di pericolo.

The Israeli Pavilion, Tire Wall, 2015, installaBon view, detail
“Tsibi Geva, Archeology of the Present”, The Israeli Pavillon at the 56th International Art Exhibition – la Biennale di Venezia, 2015, The Israeli Pavilion, Tire Wall, 2015, installation view, detail, Photo: Elad Sarig

La decisione di Tsibi Geva di usare l’esterno, oltre che l’interno del padiglione, crea una voluta destabilizzazione in ciò che normalmente è famigliare tra l’interno e l’esterno, tra il funzionale e il figurativo. All’interno i dipinti e le grandi istallazioni, sapientemente composte con oggetti abbandonati o trovati, si mescolano sotto le grandi vetrate da cui è visibile l’installazione esterna.

Archeology of the present, questo il titolo del progetto, raccoglie molte tematiche della poetica di Geva, ma la predisposizione all’accumulo di oggetti nelle nostre vite e nelle nostre abitazioni è il fil rouge delle sue sculture.

Boidem, 2015, found objects, installaBon view
“Tsibi Geva, Archeology of the Present”, The Israeli Pavillon at the 56th International Art Exhibition – la Biennale di Venezia, 2015, Boidem, 2015, found objects, installation view, photo Elad Sarig

Al piano terra, nella semioscurità una grande installazione, raccolta dietro vetrine chiuse che ci rimandano alle cantine delle nostre case, ci consente di vedere (da lontano) cataste di oggetti di uso quotidiano e non (lavatrici, biciclette, televisori) e  induce a riflettere sul loro uso e sulla necessità o meno di sbarazzarcene.

La nostra incapacità di vivere senza mezzi tecnologici, che sono diventati le nostre protesi, senza oggetti d’uso quotidiano e feticci, è corresponsabile del futuro del nostro pianeta, che a sua volta e involontariamente accatasta noi e i nostri averi.
L’opera appare come una rivisitazione dell’installazione del 1960 di Arman Le plein, quando montagne di immondizia riempirono lo spazio espositivo della galleria Iris Clert a Parigi. Questa immondizia è diversa: è perlopiù “tecnologica” e di conseguenza i materiali sono altamente inquinanti.

Il lavoro di Geva abbandona qui ogni denuncia politica per unirsi invece alla coralità di coloro (artisti e non) che ci invitano a una coscienza responsabile di convivenza. Gli accumuli quotidiani diventano miliardi di immondizia per il pianeta e accumulati in maniera ordinata dinanzi al visitatore lo inducono ad analizzarli separatamente e riflettere sul complesso della loro valenza.

Lattice, 2015, iron, found objects, 140×1,020×50, installation view
“Tsibi Geva, Archeology of the Present”, The Israeli Pavillon at the 56th International Art Exhibition – la Biennale di Venezia, 2015, Lattice, 2015, installation view, Photo: Elad Sarig

La parete del grande ammezzato è interamente ricoperta da finestre, imposte e infissi di ogni genere, recuperate dall’artista nelle discariche dei cantieri edili di Israele e si presentano come un’unica finestra sul mondo. Ognuna delle finestre delle nostre case diventa una parte del tutto, del nostro abitare la terra. Le nostre vedute personali (e culturali) diventano allora le vedute dell’umanità ponendo domande autoriflessive ed epistemologiche sull’esistenza dell’uomo moderno.

Tsibi Geva, Shutter Wall, 2015, wood, aluminum, plastc, glass, canvas, plaster, tin, Formica, 500×425×5, 500×450×5, detail, "Tsibi Geva, Archeology of the Present", The Israeli Pavillon at the 56th International Art Exhibition – la Biennale di Venezia, 2015 Photo: Elad Sarig
“Tsibi Geva, Archeology of the Present”, The Israeli Pavillon at the 56th International Art Exhibition – la Biennale di Venezia, 2015, Tsibi Geva, Shutter Wall, 2015, wood, aluminum, plastic, glass, canvas, plaster, tin, Formica, 500×425×5, 500×450×5, detail, Photo: Elad Sarig

All’ultimo piano, di fronte alle vetrate che lasciano intravedere i pneumatici della facciata esterna, grandi griglie di ferro stanno appese alle pareti ad altezza d’occhio, in modo che la catalogazione degli oggetti disposti all’interno possa essere analizzata in maniera ravvicinata. Spazi e aperture che non permettono al visitatore di passare fisicamente, ma che aiutano a cogliere da vicino tutta la liricità e la violenza del lavoro di denuncia culturale ed etica di Geva.

Cristina Zappa

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