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Note dal Kilowatt Festival 2017

Kilowatt Festival 2017 a Sansepolcro con la sua quindicesima edizione ripropone il senso del teatro come utopia sociale che rigenera spazi e riconnette i suoi abitanti.

Kilowatt Festival 2017

Kilowatt Festival 2017. Siamo stati al famoso festival di Sansepolcro, lì dove il teatro si assume ancora la responsabilità etica di essere condivisione, rete e comunione orchestrata dalla direzione artistica di Luca Ricci. Democrazia e familiarità trovano negli incontri e nelle conversazioni una straordinaria efficacia comunicativa. Quella trasmissione di sincerità che la madrina del Festival Ermanan Montanari del Teatro delle Albe ha dichiarato essere l’essenza dell’opera e il suo senso.

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Teatro delle Albe, Ermanna Montanari in Maryam. Foto Francesca Marra

Una sincerità tellurica, un combattimento che smotta la materia sonora di Maryam, lavoro scritto da Luca Doninelli e ovviamente sostenuto dal contributo sonoro dello storico collaboratore delle Albe Luigi Ceccarelli. Il testo, andato in scena all’oratorio di Santa Chiara, parte da tre orazioni di altrettante madri islamiche nella Basilica dell’Annunciazione a Nazareth. Tre preghiere compresse nel corpo di Montanari che si fa voce profetica perché di-svela l’immagine di un amore impotente nonostante la forza del suo essere dono gratuito di sé. Io stessa non ho perdonato Dio di aver ucciso mio figlio dice poi Maria, la madre che dietro gli arabeschi luminosi elegantissimi (e perfetti) proiettati da Francesco Catacchio indossa una coroncina di luce come le madonne della devozione popolare.

Il suo volto ripreso da Antonello da Messina è remissione di senso. Maryam è un intarsio emotivo, è equilibrio sul rischio di essere retorici, e banali (forse la terza storia, quella della perdita del figlio in mare è un po’ prevedibile), è una partitura inusuale all’attrice delle Albe più a suo agio nella terra madre della sua lingua. Ma qui è pura phoné, è canto immobile, è litania intonata sulle note di una raffinatissima quotidianità intrecciata in un reticolo di immagini di morte, disperazione e distruzione.

Ascanio Celestini. Foto Francesca Marra
Ascanio Celestini. Foto Francesca Marra

Phoné che persegue nel suo intento narrativo è stata invece la voce di Ascanio Celestini penalizzata dagli ampi spazi di Torre di Berta. Il suo teatro mette in moto una circolarità che si è dispersa nella piazza principale del Kilowatt Festival 2017. Comunque dopo Laika arriverà anche Pueblo di cui al Festival si è visto uno studio. Ancora una volta sono le periferie, le voci di chi prima o poi, per una catastrofe occuperà le cronache dei giornali. Ma prima di essere carta stampata, gli sconosciuti sono voci di cassiere, barboni, operai dei supermercati. La struttura discorsiva è sempre quella: perno sul personaggio e divagazioni da riprendere poi con dei ritornelli buoni per la memoria, buoni per dare carne alla al repertorio cantastorie.

Tra le chicche del Kilowatt anche la mostra Wunderkammer 10. Adoratori di feticci che celebra il decennale di attività degli Zaches Teatro. Frammenti di un discorso teatrale erano esposti come sineddoche, rimandi a universi dell’immaginario grottesco della compagnia di Scandicci. Maschere, costumi e oggetti per meravigliarsi di una collezione che dimostra come il feticcio possa essere imago, fantasma che allude a presenze altrettanto evanescenti come i personaggi fiabeschi e noir che hanno popolato la teatrografia degli Zaches.

 Wunderkammer 10. Adoratori di feticci esposizione per i 10 anni della compagnia Zaches; foto Francesca Marra
Wunderkammer 10. Adoratori di feticci esposizione per i 10 anni della compagnia Zaches; foto Francesca Marra

Dagli Artefatti viene Matteo Angius che assieme a Riccardo Festa e Woody Neri ha portato in scena Romanzo Sentimentale, lavoro scritto da Camilla Mattiuzzo e selezionato dal Network Drammaturgia Nuova. Se il nuovo passa da lavori che ci ricordano tanto Martin Crimp, temiamo l’ennesimo compiacimento sul non-finito, sul cinismo da BabiloniaTeatri (quell’elenco di “no”), su quel poco che alla fine è nulla come nei testi di Philipp Löhle. La solitudine dei tre porcellini senza famiglia ci è sembrata fin troppo fragile e in balia della scanzonata “recitazione” di Angius costretto ad inventarsi una regia su un testo che ancora una volta trasforma il materiale immenso dei luoghi comuni in quadri.

Meglio comunque di Displace yorself theatre che portano in scena Food Thought, uno spettacolo che è nel festival per la rete di residenze e paternariati che l’hanno sostenuto. Altra spiegazione non troviamo per una noiosa riproposizione di movimenti (mimi?) sul tema del cibo con lo sfondo di proiezioni commerciali troppo decorative e banali per essere in un festival che ha avuto come madrina Ermanna Montanari.

Simone Azzoni

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