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Ricordando Louise Bourgeois

Louise Bourgeois è un’artista che ha percorso un secolo di storia, lasciandoci un patrimonio visivo e poetico difficile da etichettare in una particolare corrente artistica per la sua ricchezza e complessità. Nata a Parigi nel 1911, si è spenta quest’anno a New York, dove risiedeva dal ’38; la sua opera affonda le radici nel contesto europeo delle avanguardie del Novecento e si protrae fino a lambire le rive dell’arte postmoderna degli anni Novanta, per poi sconfinare nelle sperimentazioni interattive del contemporaneo. Riassumendo le parole di Frances Morris, curatrice della mostra per l’apertura della Tate Modern nel 2000 (dove venne esposta la colossale installazione I do, I undo, I redo), Louise Bourgeois è forse l’unica artista che si può definire insieme moderna e contemporanea.

LouiseBourgeois,The Spider, the Mistress and the Tangerine Regia M. Caiori e A. Wallach, 2010
LouiseBourgeois,The Spider, the Mistress and the Tangerine
Regia M. Caiori e A. Wallach, 2010

“I do”, “I undo” e “I redo” sono i tre tempi che scandiscono il film-documentario The Spider, The Mistress and The Tangerine, diretto da Marion Cajori e Amei Wallach, trasmesso in anteprima nazionale al cinema Lumiére di Bologna lo scorso 6 novembre in occasione del festival Gender Bender. Si tratta di una lunga intervista concessa dall’artista, con interventi di personaggi a lei vicini sia nel lavoro che nella vita; la linea di confine tra film e documentario, però, in questo caso appare molto sottile perché quello che emerge dai racconti biografici e autobiografici dell’artista, dalla sua figura in sé come donna e dalle immagini delle sue opere, delinea un mondo quasi fantastico, un paese delle meraviglie in cui lei si muove passando attraverso vasi comunicanti, trasformandosi ogni volta. Il mondo esteriore e il mondo interiore in Louise Bourgeois coincidono e questa dualità è chiaramente percepibile nelle sue sculture, oggetti che cristallizzano nella materia la sostanza invisibile delle sue emozioni.

Il film si apre con un piano sequenza intorno e dentro a Precious liquids (1992), un’enorme botte di legno all’interno della quale sono disposte ampolle di vetro contenenti secrezioni corporali. In quest’installazione le emozioni si materializzano ed il corpo diventa il veicolo attraverso il quale esse compiono il passaggio dall’interno verso l’esterno; l’artista le cattura, le osserva in trasparenza, le espone, le consacra. “Le emozioni sono il soggetto primario della mia opera”[1].

La voce off anticipa la sua presenza, parlando del silenzio; il silenzio è una dimensione fondamentale senza cui non è possibile lavorare, dice Louise guardando in camera distrattamente, mentre leviga con una lima il volto antropomorfo di una statua. Il suo pensiero però è già oltre, infatti interrompe il discorso con una serie di gestualità che le servono a definire tre concetti fondamentali: la necessità di avere una sufficiente quantità di spazio (crea un’unità di misura con pollice e indice e rileva le distanze tra le parti del volto); la rottura che determina il principio del fare/disfare/rifare (prende la statua e la scuote, dicendo che l’ha già buttata giù e rotta nei momenti di rabbia); il principio di azione che definisce l’essenza della scultura (si siede e torce con le mani un pezzo di carta, mostrandone poi la forma).

La forma della spirale costituisce la matrice dell’opera di Bourgeois, in quanto esprime in sé il principio del fare e si collega ad altri due aspetti cruciali della sua poetica: le memorie e il rapporto con la madre. Quando Louise viveva in Francia, la sua casa era vicina ad un fiume poiché sua madre, una restauratrice di arazzi, aveva bisogno di recarsi spesso a lavare i tessuti; ricorda la forza con cui lei poi li strizzava, compiendo un gesto di assoluta efficacia, e il colore che si scioglieva nell’acqua. “La spirale è un tentativo di dominare il caos”[2]. Spiral Woman (1984) è l’opera che rappresenta l’emblema di questa forma concettuale: una sculturina fragile, costruita per essere sospesa nel vuoto e girare in un senso o nell’altro, instabile quanto libera. “Rappresenta Louise”[3].

Dopo Precious liquids, un’altra opera fondamentale che il documentario ci mostra è Cells: stanze allestite con diversi materiali (stoffa, vetro, marmo, legno) nelle quali sono presenti moltissimi oggetti, tra cui sculture, clessidre, specchi, boccette, ampolle…“Le Cells rappresentano i vari tipi di dolore: il dolore fisico, quello emotivo e psicologico, quello mentale e intellettuale. […] Ogni Cell ha a che fare con la paura. La paura è dolore. […] Ogni Cell ha a che fare con il piacere del voyeur, il brivido di guardare e di essere guardati. Le celle si attraggono o si respingono. C’è questa urgenza di integrare, fondere o disintegrare”[4]. In queste “celle” Louise ha voluto condensare tutte le emozioni che i suoi ricordi le suscitano; ricordi di bambina, come il senso di abbandono, la paura del buio, il bisogno di fuggire, la sensazione di non essere accettati, la rabbia. Ricordi che probabilmente in lei non si sono riassorbiti in una sorta di repressione a cui la vita adulta ci costringe, facendoci rinnegare spesso ciò che si è stati da bambini.

LouiseBourgeois,The Spider, the Mistress and the Tangerine Regia M. Caiori e A. Wallach, 2010
LouiseBourgeois,The Spider, the Mistress and the Tangerine
Regia M. Caiori e A. Wallach, 2010

In un’operazione di straordinaria complessità e qualità visiva, lei fa esplodere tutte le contraddizioni che oppongono il suo passato al presente, con l’obiettivo preciso di sradicare quelle paure infide, quelle claustrofobie, quelle censure che non permettono al flusso delle emozioni di scorrere, di straripare. Arch of Hysteria (1992) esprime quest’esplosione in tutta la sua drammaticità, rappresentando la figura non di un’isterica, bensì di un isterico: una sorta di Cristo magico nell’atto di liberarsi dal dramma e di operarne il riscatto; un eroe che ha saputo protrarsi alle soglie del caos ed entrare in rapporto col rischio della propria angosciosa labilità, per plasmare il disordine psichico insorgente e per trovare, in questa rischiosa avventura, se stesso.

Louise Bourgeois, sottraendosi ai dogmi di uno sguardo normativo, andando oltre ogni forma di classificazione e rimanendo con consapevolezza fuori dal mercato, ha attuato lo stesso miracoloso procedimento di purificazione.

Roberta Peveri

D’ARS year 50/nr 204/winter 2010


[1] Intervista con Franco Bonami pubblicata in “Flash Art” n° 180, dicembre 1993 – gennaio 1994, pp. 28-31, in Louise Bourgeois, Distruzione del padre Ricostruzione del padre. Scritti e interviste, 2009 Quodlibet, Macerata, p. 288.

[2] C. Meyer-Thoss, Louise Bourgeois: Designing by Free Fall, Amman Verlag, Zurich, pp. 177-202, in Louise Bourgeois, op. cit., p. 244.

[3] Dal documentario realizzato nel 1993 da Nigel Finch per Arena Films, Londra, in Louise Bourgeois, op. cit., p. 280.

[4] Carnegie Museum of Art, Pittsburgh, catalogo a cura di L. Cooke e M. Francis (ottobre 1991 – febbraio 1992), p. 60, in Louise Bourgeois, op. cit., p. 224-225.

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