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Youth. Le conseguenze della bellezza

Youth, picture by Gianni Fiorito
Youth, picture by Gianni Fiorito

Si ritorna a Le conseguenze dell’amore (film scritto e diretto da Paolo Sorrentino, 2004), al finale con l’amicizia separata dalla vita, quella tra Titta Di Girolamo (Toni Servillo), cassiere di Cosa Nostra costretto a un’esistenza-fantasma in un albergo svizzero, e Dino Giuffré, amico di gioventù che nel film ha un ruolo marginale. È come se Youth continuasse quel racconto – ormai irrimediabilmente attraverso gli stilemi de La grande bellezza – e quell’amicizia si ricongiungesse durante la senilità.

La vicenda è sì, intimista, scavata coi silenzi e la contemplazione, ma lo è alla maniera del film premiato con l’Oscar, che poi sarebbe la maniera di Sorrentino ostentata al cubo (sic), con le inquadrature che si adeguano alle linee delle colonne, dei muri, delle tappezzerie, delle tende, della superficie di una piscina. Con le riprese che giocano con le diagonali degli oggetti in prospettiva e le geometrie usate per dividere il piano in scacchiere; con il montaggio che orchestra incisivamente il ritmo e i personaggi che si muovono seguendo la colonna sonora. È l’estetica di Paolo Sorrentino, ormai codificata al limite del manierismo, con gli attesi “siparietti” musicali che precipitano in ventagli di ritratti da rivista di moda, continui primi piani patinati giustificati da una narrazione-visione in cui tutti si scrutano e si soppesano, e allora ogni volto potrebbe dilatarsi in un personaggio e far esplodere la linearità della trama.

Youth, picture by Gianni Fiorito
Youth, picture by Gianni Fiorito

«Ogni tanto, in cima a un palo della luce, in mezzo a una distesa di neve, contro un vento gelido e tagliente, Dino Giuffré si ferma, la malinconia lo aggredisce, e allora si mette a pensare… E pensa che io, Titta Di Girolamo, sono il suo migliore amico». La voce fuori campo di Servillo sembra proseguire in Youth, passando nel corpo di Fred Ballinger (Michael Caine), direttore d’orchestra in pensione, la cui fama mondiale è dovuta alle Simple Songs, opera che dopo la “perdita” della moglie rifiuta di eseguire anche davanti alle “suppliche” della Regina.

Youth, picture by Gianni Fiorito
Youth, picture by Gianni Fiorito

Ballinger è in vacanza in un albergo-spa, creato girando allo Schatzalp Hotel di Davos, quello de La montagna incantata di Thomas Mann, e al Waldhuus di Flims: rieccoci in Svizzera. Al suo fianco, a fargli compagnia durante il soggiorno, l’amico Mick Boyle (Harvey Keitel), regista cinematografico con alle spalle un’importante filmografia. L’approccio dei due anziani alle rispettive arti è agli antipodi, rispecchia il loro modo di vivere la cosiddetta vecchiaia: laddove Fred si è ritirato in un infinito letargo (come Titta di Girolamo), Mick lavora con il proprio cast progettando e discutendo quotidianamente del nuovo film.

Sarà un drammatico imprevisto ad agire dialetticamente sulla coppia (in modo opposto rispetto a Le conseguenze dell’amore), a sbloccare la situazione; ma la risoluzione di Youth, che si nutre anche del catalogo di personaggi in passerella, è esemplificata dalle ripetute panoramiche circolari con la camera posizionata sul palchetto mobile dove ogni sera avviene un spettacolo per i clienti. Riprese che uniscono la moltitudine di spettatori per lo sguardo dello spettatore (in sala) e sintetizzano l’esperienza e gli insegnamenti che hanno vissuto Mick e Fred nell’albergo-clinica, che è un po’ un Valhalla di eccellenze umane.

Youth, picture by Gianni Fiorito
Youth, picture by Gianni Fiorito

Panoramiche circolari che confermano gusto per l’universale – le cui declinazioni negative scadono nel luogocomunismo e nella ricerca spasmodica del consenso – e vocazione a fare di ogni singolarità una sorta di cosmogonia. Queste caratteristiche, a partire da This must be the place, hanno contraddistinto gli ultimi film di Sorrentino, intaccando in parte la maestria con cui – da L’uomo in più fino a Il divo – il regista ci aveva mostrato storie irripetibili e personaggi unici.

Giordano Bernacchini

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