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Babilonia Teatri. I suicidati della società, David e compagni

David è morto, l’ultimo lavoro di Babilonia Teatri in scena a “L’Altro Teatro Camploy” di Verona (28 e 29 novembre 2015).

Chi è andato va a vedere David è morto difficilmente lo farà con uno spettacolo del fu Luca de Filippo. Forse il gruppo veronese non ha più il seguito da anni fa, ma nemmeno gli sparuti addetti ai lavori, snob intellettuali alla ricerca del pelo nell’uovo in un sistema di vetrinismi e parassiti.

Babilonia Teatri, "David è morto", 2015. Foto di Eleonora Cavallo

È indubbio che i Babilonia Teatri abbiano spostato l’asse del teatro. Più di altri gruppi. E questo è il primo dato innegabile. Il secondo è che i Babilonia sono riusciti a riempire l’involucro dei gruppi nati negli anni Novanta con segni decisamente diversi. In quegli anni nascevano Motus, Teatrino Clandestino, gli Artefatti, Lemming, Teatro Aperto, gruppi con un approccio iniziale spesso autobiografico-analitico-esistenziale. Dimensione personale, quasi di coppia, che c’è nei Babilonia ma senza quella personalistica. Certo vorremmo che andassero oltre la loro recitazione che ci violenta e obbliga ad ascoltarli, ma è come chiedere Peter Brook di non usare il Tatami.

Babilonia Teatri, "David è morto", 2015. Foto di Eleonora Cavallo
Babilonia Teatri, “David è morto”, 2015. Foto di Eleonora Cavallo

I Babilonia sono sopravvissuti alla moda di se stessi e ora tentano una drammaturgia con un testo più articolato dei comandamenti. Da tempo non hanno nemmeno l’ossessione a occupare spazi non convenzionali. I Babilonia Teatri possono andare tanto anche nei teatri borghesi, anche se sono nati in uno spazio decisamente off. Detto questo quali sono i segni che si sommano, a volte si sovraccaricano sul palco? Segni Pop dicono loro, aldilà della musica energetica che spacca i timpani e copre qualche magagna nel ritmo. Ed è vero che il grande cuore appeso ci richiama l’universo di Jeff Khoons (o di Baldessarri) ma le croci con i cuori sono quelle di un San Martino del Carso di Ungaretti, magari viste anche in una delle manifestazioni contro i morti sulle strade.

E allora? Il postmoderno è questo mescolarsi di alto e basso, certamente. Ma almeno i Babilonia lo fanno con struggente ironia e questo, come era già accaduto in Pinocchio, li salva dal facile pietismo di chi porta in scena “corpi diversi”. Qui una ragazza ci richiama l’universo di Pippo del Bono, ma il regista ligure c’entra solo perché anche qui vediamo la poesia di piccole fatiche. L’impronta è Babilonia Teatri perché quel declamato stentoreo ora è anche di Filippo Quezel (il David del titolo) che recita il suo epitaffio di Spoon River innescando le associazioni estenuanti care al duo Remondi-Castellani. La strada è difficile, più che nei precedenti lavori. Questa volta manca l’aggancio emotivo, l’appeal alla pancia.

Babilonia Teatri, "David è morto", 2015. Foto di Eleonora Cavallo
Babilonia Teatri, “David è morto”, 2015. Foto di Eleonora Cavallo

Usano immagini (anche forti come i cappi che pendono dal soffitto) però siamo al secondo livello di segni, quelli che vanno subito decodificati, collegati agli altri segni sulla scena. Il tempo per riflettere c’è perché le lapidi viventi non si affastellano e non si accumulano per iperboli, anzi. Qualche lentezza o lungaggine può essere tagliata nelle successive repliche. Chiara Bersani sulla sua automobilina racconta come pure Emiliano Brioschi, Alessio Piazza, Emanuela Villagrossi di un quotidiano cinico e squallido come l’umanità di David Forest Wallace. Più vera però e non perché ogni tanto si accendono le luci in sala o perché si chiuda pure il sipario prima del tempo, ma piuttosto perché i corpi vivono di un testo che non conoscono.

Babilonia Teatri, "David è morto", 2015. Foto di Eleonora Cavallo
Babilonia Teatri, “David è morto”, 2015. Foto di Eleonora Cavallo

Lo interpretano, alienati. La voce off (onnisciente) di Enrico Castellani annuncia quel che vediamo. Epica nell’epica. In scena si racconta di suicidi, fuori scena si presentano gli attori-personaggi, che stanno lì come gli attori di Strehler nel suo Arlecchino servitor di due padroni. È l’unico modo oggi per indagare la tragedia: farcela semplicemente vedere a posteriori. Senza lacrime e, in futuro, senza urla.

Simone Azzoni

David è morto
Produzione: Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale e Emilia Romagna Teatro Fondazione
da un progetto di: Babilonia Teatri
di Valeria Raimondi e Enrico Castellani

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