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Black Mountain. An Interdisciplinary Experiment 1933 – 1957

Black Mountain College: Sue Spayth (sin) e studenti davanti alla Lee Hall, Blue Ridge Campus, 1938 c.ca  © Courtesy of Western Regional Archives, States Archives of North Carolina
Black Mountain College: Sue Spayth (sin) e studenti davanti alla Lee Hall, Blue Ridge Campus, 1938 c.ca © Courtesy of Western Regional Archives, States Archives of North Carolina

Il passaggio per il Black Mountain College è una tappa che ha accomunato, in momenti diversi della loro carriera, artisti come Josef e Anni Albers, John Cage, Merce Cunningham, Franz Kline, Katherine Litz, Robert Rauschenberg marcando significativamente l’evoluzione delle avanguardie negli anni Sessanta. Il nome di questa leggendaria scuola evoca la libertà sperimentale, l’apertura interdisciplinare e un approccio pedagogico pragmatista ispirato alla filosofia di John Dewey. Le influenze che qui si incrociarono dal 1933 al 1957 sono molto articolate. Per certi aspetti fu un laboratorio creativo nel quale si raccolsero i frutti di esperienze prebelliche, primo fra tutti il Bauhaus, mentre si assisteva al progressivo spostamento di baricentro economico e culturale dall’Europa – distrutta dalla guerra – agli Stati Uniti.

Black Mountain College: Buckminster Fuller Class, Lake Eden Campus, estate 1949  © Courtesy of Western Regional Archives, States Archives of North Carolina.  Foto: Masato Nakagawa
Black Mountain College: Buckminster Fuller Class, Lake Eden Campus, estate 1949
© Courtesy of Western Regional Archives, States Archives of North Carolina.
Foto: Masato Nakagawa

L’Hamburger Bahnhof di Berlino presenta fino al 27 settembre, per la prima volta in Germania, una mostra interamente dedicata al Black Mountain College (Black Mountain. An Interdisciplinary Experiment 1933 – 1957) rendendo accessibile una notevole quantità di materiale d’archivio dalle opere alle fotografie, dagli scritti alle registrazioni video e audio, fino ai momenti della vita quotidiana di studenti e docenti in questo piccolo centro della North Carolina destinato a diventare un luogo dall’aura mitica. Il percorso espositivo offre una precisa ricostruzione storica delle varie fasi di ricerca e anche delle difficoltà che una struttura così aperta, indipendente e strettamente auto-finanziata ha dovuto affrontare nel tempo. Lo spirito comunitario, quasi pre-hippie, e il ruolo assunto dalle discipline performative come la danza, la musica, il teatro segnarono un punto di svolta di cui si farà tesoro nello sviluppo artistico dei decenni successivi.

Black Mountain College: Classe di Fotografia con Josef Albers, Lake Eden Campus, 1944 c.ca © Courtesy of Western Regional Archives, States Archives of North Carolina
Black Mountain College: Classe di Fotografia con Josef Albers, Lake Eden Campus, 1944 c.ca © Courtesy of Western Regional Archives, States Archives of North Carolina

Oltre agli aspetti di ricostruzione prettamente storiografica, la mostra apre una riflessione molto interessante sul tema dell’archivio. Come trasmettere tutto il lascito andando al di là della sua mera “presentazione”? Come approcciarlo con uno spirito affine a quello con cui è stato prodotto? La risposta è un’estensiva operazione di re-acting attraverso quotidiani cicli di performance, letture, contributi musicali che si svolgono negli stessi spazi dell’allestimento, curato appositamente dal collettivo di architetti raumlabor_berlin. Sotto il titolo Performing the Black Mountain Archive l’artista e compositore Arnold Dreyblatt ha costruito una partitura di interventi che coinvolgono studenti di diverse accademie d’arte tedesche per ridare vita alle voci e ai corpi dell’epoca. Le possibilità odierne di accedere ed elaborare una grande quantità di dati hanno moltiplicato le prospettive di approccio al passato. La combinazione di sguardo posato dal presente e distanza spazio-temporale che riattiva un archivio s’inscrive tra il detto e il non-detto, tra esistenza e potenzialità, tra esclusione ed inclusione. La narrazione del Black Mountain College rimane in questo caso aperta e vivace, senza intenzione totalizzante e fortemente appoggiata a elementi performativi che costituirono all’epoca i fondamenti di una nuova pedagogia.

Clara Carpanini

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