La rivista nel 2022 è stata trasformata in archivio di contenuti.

Giocando con la gravità: il nuovo Padiglione Australia

Cercando di dare un senso agli sconvolgimenti della nostra realtà attraverso l’esposizione di progetti storici e antistorici che drammatizzano, problematizzano e mappano l’ambiente espositivo, Okwui Enwezor sfrutta la forza di gravità per lasciarci volteggiare nel tempo.

Attraverso la gestione della densità dello spazio, il curatore di questa biennale non solo riesce a rivelare il caos di quest’epoca pervasa dall’ansia, ma allo stesso tempo lo governa, permettendoci così di analizzarne i diversi aspetti sia su scala globale e nazionale, quanto su base storica e geopolitica. A guidare il volo vi è una costellazione di filtri tra i quali tre fungono principalmente da stella polare: Vitalità: sulla durata epica, Il giardino del disordine e Il Capitale: una lettura dal vivo.

Australian Pavilion entrance, Image credit: John Gollings
Australian Pavilion entrance, Image credit: John Gollings

Nell’immensità di questo cielo, costellato di pianeti-opere e galassie-nazioni, possiamo imbatterci in veri e propri “buchi neri”; il nuovo padiglione dell’Australia, progettato dall’architetto Denton Corker Marshall, ne è un esempio. Un cubo ricoperto di granito nero del sud dell’Australia contiene infatti una quantità tale di oggetti da farlo percepire come un corpo celeste dalla densità elevata, una sorta di “buco nero” nello spazio dei Giardini.  La  forza di gravità  sembra aver determinato l’inversione di senso delle lancette negli orologi presenti in Wrong Way Time, la mostra di Fiona Hall che  inaugura il padiglione.

Fiona Hall, Crust 2014–15, installation view, Australian Pavilion, Venice Biennale 2015, 


Image Credit: Christian Corte, Courtesy of the artist and Roslyn Oxley9 Gallery, Sydney. © The artist.
Fiona Hall, Crust 2014–15, installation view, Australian Pavilion, Venice Biennale 2015, 


Image Credit: Christian Corte, Courtesy of the artist and Roslyn Oxley9 Gallery, Sydney. © The artist.

L’allestimento, concepito dalla curatrice Linda Michael, ricorda una Wunderkammer che contiene al suo interno  gli elementi più disparati: da volumi enciclopedici e sculture di pane a boccette vuote di profumo e scatolette di latta, fino ad arrivare a piante e banconote.

Il tutto si configura come una stramba archeologia di elementi capaci di generare tensioni su più livelli. Questa, mettendo in relazione i materiali trovati dall’artista come i rami  – che costituiscono la serie di Manihuri (Travevellers) –  o le foglie della serie When My Boat Comes In, registra movimenti di persone, piante e animali così come i viaggi dell’artista. Viaggi  che avvengono all’interno dei confini fisici, rappresentati negli atlanti esposti, ed entro i confini virtuali dell’informazione fornita dai giornali ai quali diversi lavori fanno riferimento.

Fiona Hall, Manuhiri (Travellers) 2014–15, installation view, Australian Pavilion, Venice Biennale 2015, 


Image Credit: Christian Corte, Courtesy of the artist and Roslyn Oxley9 Gallery, Sydney. © The artist.
Fiona Hall, Manuhiri (Travellers) 2014–15, installation view, Australian Pavilion, Venice Biennale 2015, 


Image Credit: Christian Corte, Courtesy of the artist and Roslyn Oxley9 Gallery, Sydney. © The artist.

Lo scenario presente e futuro a cui ci apre questo buco nero vede – nella stessa oscurità dello spazio che favorisce la dissolvenza e la confusione di dicotomie quali bene/male, nascita/morte e natura/cultura – un infinito potenziale di trasformazione. L’artista contribuisce alla produzione di tale potenziale attraverso la sua forza costruttrice che, nutrendosi di decadenza, è capace di generare ordine a partire dal caos.

Nicole Caputi

share

Related posts