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Quando il teatro (ri)scopre i media

Se il teatro è una forma della comunicazione artistica e l’arte un sistema della società, allora i processi evolutivi che riguardano l’arte teatrale devono essere osservati insieme all’evoluzione della comunicazione e delle sue tecnologie. In questo senso il rapporto del teatro con i linguaggi tecnologici e mediali va compreso tenendo conto delle diverse modalità con cui gli artisti lo hanno inteso e interpretato. Su un primo versante c’è chi ha ribadito la specificità teatrale nei termini della differenza, se non del rifiuto, rispetto all’ingerenza espressiva dei media. Su un altro fronte, invece, la fascinazione e l’interesse verso le loro potenzialità espressive ha caratterizzato una felice fase della produzione dal vivo.

La Gaia Scienza, Studio Azzurro La camera astratta, 1987
La Gaia Scienza, Studio Azzurro
La camera astratta, 1987

L’importanza del percorso di assimilazione della logica e del funzionamento nei media[1] ha significato, prima di tutto, il superamento della classica definizione dell’evento spettacolare come fenomeno caratterizzato dalla presenza fisica e dal qui e ora per assumere delle nuove configurazioni. Il teatro, insomma, ha contribuito alla funzione dell’arte che consiste nello sperimentare le possibilità rimosse da altri ambiti della vita quotidiana, di produrre forme inedite per l’immaginario e per l’esperienza, non soltanto estetica. È così che la ricerca teatrale del secondo Novecento ha avuto accesso ad altri territori della comunicazione e li ha resi teatrali. Tuttavia non si deve pensare a un processo d’innovazione avviato con il solo scopo di abbellire la scena o di renderla più sofisticata e trasgressiva rispetto alla tradizione un po’ stantia del teatro. Non si è trattato di aggiungere semplicemente dei supporti audiovisivi ma piuttosto di accentuare in chiave drammaturgica – ossia in maniera coerente con il processo di regia e di costruzione del testo spettacolare – la dimensione visiva del teatro.  La presenza, a partire dagli anni ’60, di immagini fisse o in movimento, con proiezioni su schermi o sugli spazi scenici oppure con proiezioni di luci e colori sui corpi e sugli oggetti, ha giocato nella resa sempre più esplicita della commistione fra realtà e finzione, fra il tempo dell’azione dal vivo e quello “in differita” del video, fra il corpo del performer e la sua riproduzione. È un teatro ibrido e contaminato quello che s’impone sulla scia delle Avanguardie, capace di rivendicare la sua origine multimediale e di elaborare le esperienze del cinema sperimentale e underground, dell’arte concettuale, della body art e della videoarte. Questo rinnovamento ha riguardato la revisione del testo e della narrazione come materiali non necessariamente principali per lo spettacolo le cui tecniche di composizione hanno trovato nel montaggio, mutuato dal cinema, un denominatore comune. Ed è quindi proprio grazie all’intervento dell’immagine elettronica che si è affermata la qualità processuale della performance, il suo farsi dinamico e non tanto di opera finita.

Compagnia Krypton, Voce Off progetto ideato e diretto da Giancarlo Cauteruccio
Compagnia Krypton, Voce Off
progetto ideato e diretto da Giancarlo Cauteruccio

L’uso teatrale delle tecnologie sulla scena si è moltiplicato negli anni ’80, in quella fase in cui gli immaginari mediali si sono consolidati, diversificandosi in base alle scelte degli artisti. In questo contesto la scena teatrale italiana si è distinta con una serie di esperienze importanti che hanno contribuito alla consacrazione dei caratteri comunicativi del “nuovo teatro”[2].  Un primo caso è quello della compagnia romana La Gaia Scienza, esempio di teatro specializzato nel genere delle videoinstallazioni grazie al fortunato incontro con Studio Azzurro. In spettacoli come Prologo a diario segreto contraffatto, Correva come un lungo segno bianco e La camera astratta (1985-1987) la presenza del video, giocata nell’interazione fra i corpi degli attori e i monitor è usata come parola della scena che, insieme al resto, gioca per la resa complessiva dello spettacolo. Il richiamo all’immaginario tecnologico proposto da questi lavori ha assolto alla funzione sociale del discorso artistico: se la tecnologia permea gli ambiti della vita quotidiana, allora l’uso di monitor, video, telecamere si traduce nella conoscenza di tali presenze e serve per prendere in considerazione la rivoluzione dei linguaggi operata dalla tecnologia, dirottandone le derive più commerciali verso nuovi orizzonti poetici. Così come succede anche per Magazzini Criminali. Punto di rottura, Crollo nervoso, Come è sono soltanto alcuni dei lavori in cui il video è coprotagonista, dove la telecamera serve all’attore per esplorare la messa in scena dei punti di vista in nome, ancora una volta, della ricerca verso l’interazione sensata, cioè drammaturgica, dei linguaggi. Al gruppo fiorentino Krypton dobbiamo invece l’uso del laser come strumento per indagare lo spazio teatrale e per formulare una nuova drammaturgia visiva. In Teorema: uno studio su Pitagora il maestro del silenzio (1990) la saturazione percettiva data da immagini e suoni è esaltata dal laser che orienta lo sguardo del pubblico verso l’intera macchina performativa. Il corpo umano è soltanto un elemento mentre il testo è riconoscibile per citazioni e suggestioni da mettere insieme secondo il vero senso dell’idea della partecipazione attiva del pubblico ossia della “comprensione” come costruzione autonoma dei significati da parte di ognuno. Infine la compagnia napoletana Falso Movimento la cui ricerca muove verso un’idea di “media-teatro”, sorta di tecnologia della scrittura teatrale che ne comprende altre: quella elettronica del video, quella visiva della luce e dei gesti, ecc. Come in Ritorno ad Alphaville (1986) dove la percezione polisensoriale viene azionata per garantire allo spettatore il suo personale canale di visione. Ecco allora che la ricerca teatrale di quegli anni sembra aver contribuito al disvelamento del senso ultimo della qualità espressiva e sociale dei media che sono i luoghi dell’esperienza contemporanea e dei quali l’arte sembra aiutarci a percorrerne le strade più belle.

Laura Gemini
D’ARS year 51/nr 205/spring 2011


[1] Cfr. M. Costa (1999), L’estetica dei media. Avanguardie e tecnologia, Castelvecchi, Roma.

[2] Cfr. A. Sapienza (1992), La tecnologia nella sperimentazione teatrale italiana degli anni ottanta. Tre esempi, Istituto Universitario Orientale, Napoli.

 

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