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Roberto Fanari, Raluca Andreea Hartea

Qualche tempo fa eravamo qui a parlare delle statue e statuette in fil di ferro intrecciato di Fabrizio Pozzoli e ora torniamo sul tema con quelle di Roberto Fanari – fino al 14 settembre allo Studio d’arte Cannaviello di Milano – che di quella particolare tecnica propone una diversa applicazione. Pozzoli infatti avvolge il filo “a matassa” creando volumi pesanti, il cavo compatto e impenetrabile come la lana nel gomitolo; Fanari lo lavora piuttosto “a ragnatela”, tendendolo, ora fitto ora rado, dando vita a figure leggere, attraversabili con lo sguardo. Inoltre, a differenza di Pozzoli, che procede improvvisando partendo da un’estremità della figura, Fanari muove da una sagoma in ferro che riproduce il profilo del soggetto – ora tracciandone solo il contorno con una linea sottile, ora riproducendone i volumi con una struttura a telaio – attorno a cui fissa poi il filo. Ecco che i due vengono così a risultati opposti, l’uno indiscutibilmente scultoreo, l’altro a metà strada tra arte plastica e disegno.

Roberto Fanari, Seconda B, 2012. Filo di ferro cotto, cm 106x40x20
Roberto Fanari, Seconda B, 2012. Filo di ferro cotto, cm 106x40x20

Lo si vede bene in Seconda B (2012), in cui il filo s’addensa sui volti e ai piedi dei tre scolari, mentre le gambe, le braccia e il busto restano solo accennati; e così nella Stanza delle meraviglie (2012), dove il cavo avvolge le piccole corna d’un camoscio e quelle imponenti d’un caprone, mentre i musi restano appena coperti da un leggero intreccio. Se osservate a una certa distanza contro il bianco del muro, le figure sorprendentemente si appiattiscono fino a prendere l’aspetto di disegni finiti a mezzo, col colore a riempire solo alcune porzioni della composizione e questa è la peculiarità delle opere di Fanari, che concentrano tridimensionalità e bidimensionalità, pieno e vuoto, scultura e disegno.

Roberto Fanari, L’atleta, 2013. Resina, filo di ferro cotto, cm 110x30x30
Roberto Fanari, L’atleta, 2013. Resina, filo di ferro cotto, cm 110x30x30

Fanari lavora anche con la ceramica sintetica e di questo materiale sono fatte le tre statuette La pattinatrice, La bagnante e L’atleta (tutte del 2013), che poggiano i piedi su esili telai (ancora) in fil di ferro dalla forma di colonnine classicheggianti, producendo un piacevole contrasto cromatico e materico – nella Pattinatrice anche interno alla figura, che ha il busto metallico e la testa e le gambe in resina bianca, possibile preludio a una nuova serie di opere ibride.

Raluca Andreea Hartea, Credevo in te come si crede a un sogno, 2012. Acrilico smalto su poliestere siliconato su tela, cm 114x73
Raluca Andreea Hartea, Credevo in te come si crede a un sogno, 2012. Acrilico smalto su poliestere siliconato su tela, cm 114×73

In galleria è esposta anche una serie di lavori della romena Raluca Andreea Hartea, in un tentativo di dialogo con le opere di Fanari che però non ci pare riuscito, non tanto per la diversità di carattere – e di mezzi – tra i due, quanto per una debolezza tecnica ed espressiva dei lavori della romena di fronte alla precisione e alla delicatezza dei metalli di Fanari. Diplomata alla NABA ma pure in psicologia analitica e ipnosi dinamica, Hartea applica quei metodi d’indagine dell’inconscio alla creazione artistica, con risultati però poco convincenti: kitsch i sette cuori di cemento in gabbia sdraiati su pastiglie di zucchero verniciate, facile allegoria dell’abuso di psicofarmaci nella società d’oggi; ripetitivi gli abiti dipinti su tela e intitolati con pensieri dell’artista – Credevo in te come si crede a un sogno, Ti sogno di notte e di giorno e via così – a dire che i vestiti che indossiamo portano con sé memorie ed emozioni del nostro vissuto.

Stefano Ferrari

http://robertofanari.blogspot.it/
http://andreeahartea.tumblr.com/
Roberto Fanari, Raluca Andreea Hartea
6 giugno – 14 settembre 2013
Studio d’arte Cannaviello, Milano

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