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Vito Campanelli rilegge Flusser. L’utopia della società dialogica

Vilém Flusser. Fonte: http://rainer-guldin.ch
Vilém Flusser. Fonte: http://rainer-guldin.ch

La casa editrice Luca Sossella Editore nel 2015 pubblica il libro di Vito Campanelli L’utopia di una società dialogica. Vilém Flusser e la teoria dell’immagini tecniche, dedicato all’opera di Vilém Flusser (1920-1991), uno dei più visionari pensatori del Novecento, spesso apostrofato come profeta dei nuovi media. In realtà la sua opera è ben più vasta: come massmediologo fa spesso riferimento alla fisica quantistica e alla matematica; come teorico si interessa alla fenomenologia, la filosofia del linguaggio, la traduzione, l’esistenzialismo. In poche ma illuminanti pagine Campanelli cerca di fare ordine nel complesso e discontinuo corpus di opere di un intellettuale dal forte spirito anarchico e antiaccademico. Molto materiale è infatti inedito, come il suo monumentale epistolario. Inoltre Flusser scrive in diverse lingue (portoghese, tedesco, inglese, francese), poiché ogni lingua sottende una visione del mondo, un modello interpretativo. Si occupa di discipline differenti con una scrittura che pratica una sistematica moltiplicazione di punti di vista e di stili, in una costante ed estenuante opera di ri-traduzione di se stesso. Contrappone al pensiero accademico una prospettiva decentrata, forte della condizione di migrante che apre nuove possibilità.

È costretto da giovane ad abbandonare Praga, la sua città di origine: poiché figlio di intellettuali ebrei tedeschi, nel 1939 scappa a Londra con la famiglia della futura moglie Edith Barth, per poi spostarsi a Rio de Janeiro, per un lungo periodo a San Paolo (dove insegna Filosofia della Scienza e Filosofia della Comunicazione all’Università) e infine in Francia a Robion (1972). Come esiliato osserva e critica dall’esterno l’Occidente, sviluppando un pensiero che potremmo definire post-umanistico, basato non più sul soggetto ma sull’intersoggettività, senza mai perdere di vista l’uomo. La realtà diventa tale solo nell’interazione tra soggetti, nella relazione tra un io e un tu. Ecco quindi l’utopia della società dialogica, basata sulla comunicazione tra individui in cui l’obiettivo non è la creazione di nuove informazioni, bensì il loro processo di creazione. La telematica permette di opporsi alla tendenza naturale, all’isolamento sociale del singolo individuo e al decadimento di ogni informazione, ovvero di evitare o quanto meno rimandare l’entropia. Egli per esempio vede nella TV la sua potenzialità irrealizzata di medium dialogico, in cui ogni schermo è collegato ad altri attraverso reti telefoniche (come nel progetto sperimentale del 1977, QUBE, ovvero question your tube), non uno strumento in cui lo spettatore/consumatore subisce passivamente le immagini, nell’impossibilità di accedere al mondo reale.

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Le immagini televisive, così come quelle fotografiche, vengono definite immagini tecniche (bilder): sono prodotte dagli apparati tecnologici attraverso il calcolo e la computazione. Si contrappongono alle immagini tradizionali, come le pitture rupestri di Lascaux e gli affreschi rinascimentali, che proiettano l’essere umano in una dimensione rituale e magica e gli permettono di orientarsi ed entrare in contatto con il mondo come delle vere e proprie mappe. Permettono così all’uomo di immaginare e di estendere in questo modo il suo controllo sulla natura. Con l’invenzione della scrittura lineare hanno inizio il tempo e la storia; si procede verso un crescente grado di astrazione e concettualizzazione, in opposizione all’idolatria delle immagini. Ma quando i testi diventano incomprensibili e irrappresentabili perché invisibili e frantumati in elementi puntuali, le immagini tecniche diventano necessarie: consentono di trasformare i concetti in immagini, riportando il livello astratto alla concretezza. Servono ad uni-formare: il mondo puntiforme della meccanica quantistica è disgregato in uno sciame di bit. Se non è più descrivibile, risulta tuttavia calcolabile. Ecco quindi una nuova immaginazione basata sul calcolo, con immagini non più prodotte da mani, utensili o macchinari ma da apparati, che creano in automatico situazioni informative.

Le immagini tecniche sono produttive, non riproduttive: non sono la copia di qualcosa ma proiettano significati sul mondo, creandolo. Nella post-storia [Nachgeschichte] ogni distinzione tra vero e falso si rivela inconsistente: l’immagine non mostra il suo significato ma il suo modo per orientarsi nel mondo e dare senso all’assurdo. Il reale, del resto, è inafferrabile, è una mera probabilità in un flusso tendente all’infinito (Campanelli). Come una cipolla, se si tolgono via i suoi strati alla ricerca di un nucleo o di un centro, non rimane niente. Non è possibile afferrare nessuna essenza oltre la realtà dei sensi; non vi è nulla oltre le apparenze. Ciò è evidentissimo con la fotografia, che per Flusser è il prototipo di tutti gli apparati, e in rapporto con la sfera politica. In Television Image and Political Space in the Light of the Romanian Revolution afferma (1989): L’esperienza reale è nell’immagine. Non è esiste realtà dietro l’immagine. Tutta la realtà è nell’immagine. Cita l’esempio della rivoluzione rumena come importante punto di svolta, a partire dal quale gli spettatori occidentali sanno sempre meno di ciò che accade nel mondo. La fotografia e in seguito tutte le altre immagini tecniche sono al servizio della sfera politica, e in questo modo la coscienza politica è subordinata alle immagini. L’effetto finale è da una parte un progressivo venir meno della dimensione del politico, per via dell’abolizione del dialogo tra spazio privato e spazio pubblico; dall’altra una tendenza sempre maggiore all’automazione, poiché ogni cosa è un prodotto degli apparati.

Le nuove tecnologie non sono più protesi o estensioni dei nostri sensi (McLuhan) ma sono separate dai funzionamenti base dell’essere umano, portandolo ad avere un ruolo sempre più marginale. Secondo Flusser solo come cervello collettivo – e quindi nel dialogo e nella relazione tra individui – l’umanità potrebbe riprendere il controllo degli apparati, in un utopico programmare democratico.

Eleonora Roaro

D’ARS anno 56/n. 222/primavera 2016

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