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Yu Jinyoung @ Galleria Patricia Armocida

Il gruppo in festa non gradisce la presenza di coloro che la festa non hanno voglia di farla, li guarda con sospetto, li isola, non ci parla. Fa di tutto insomma per far finta che non siano lì, in un certo senso li fa diventare invisibili. E quelli, da parte loro, cercano di non dare troppo nell’occhio. Capace sennò che qualcuno si avvicini per chiederti “come va?” e allora ti tocca rispondere “bene” e fingerti festaiolo. Ma, ahimè, se il corpo può mimetizzarsi con lo sfondo fin quasi a sparire, il volto se ne sta sempre lì in vista, palese, a mostrare cosa passa dietro. Ecco, quella che mette in scena Yu Jinyoung (Seul, 1977) con le sue sculture è una particolare forma d’ansia “sociale”, quella cioè stimolata da colazioni di lavoro, pranzi tra colleghi, happy hour, feste, cene di famiglia e simili, che se per molti sono piacevoli occasioni d’incontro, per altri sono invece situazioni di forte stress emotivo.

Yu Jinyoung, I’m OK 3, 2009. PVC, mixed media, h: Human 127 cm, Cat 37 cm. Courtesy Galleria Patricia Armocida, Milano
Yu Jinyoung, I’m OK 3, 2009. PVC, mixed media, h: Human 127 cm, Cat 37 cm. Courtesy Galleria Patricia Armocida, Milano

Quella tensione tra dubbia invisibilità e ovvia presenza Yu la traduce creando sagome in pvc trasparente, rendendo veramente invisibile il corpo; mentre sui volti – pieni, colorati – concentra tutti i segni del malessere psicologico sotto forma di lividi e ferite: un labbro gonfio, un’escoriazione sulla fronte, un occhio bendato. Anche la posa delle figure, sempre e solo donne – adulte, ragazze o bambine – ne suggerisce lo stato d’animo inquieto: le spalle sono strette, le gambe a x colle punte dei piedi girate verso l’interno a toccarsi, postura tipica di molte donne asiatiche che qua però prende una valenza anch’essa psicologica facendosi segno di timidezza. Alla patetica tragicità espressa dal corpo fanno da contrappunto gli allegri accessori indossati dalle donne, piccoli stratagemmi per apparire meno tristi – altre volte però anche quelli metafora del disagio interiore, come la borsetta con all’interno, visibile, una maschera sorridente da indossare al bisogno.

Yu Jinyoung, I’m OK 1, I’m OK 2, 2009. PVC, mixed media, h: 127 cm. Courtesy Galleria Patricia Armocida, Milano
Yu Jinyoung, I’m OK 1, I’m OK 2, 2009. PVC, mixed media, h: 127 cm. Courtesy Galleria Patricia Armocida, Milano

Abbiamo chiamato le opere di Yu “sculture” e lo sono a tutti gli effetti, anche se nel prodotto finale dei segni dello sculpere non rimane che un ricordo. Yu infatti realizza dapprima un modello in argilla a tutto tondo, ne prende un calco in gesso, lo divide in due metà, ne riveste l’interno col pvc scaldandolo fino a farlo aderire perfettamente alle pareti; infine estrae le due forme e le cuce assieme, ottenendo un guscio trasparente con le fattezze del modello d’argilla. Poi lavora al volto, in resina, che trucca a mano e che completa con due occhi di vetro da bambola che paiono colmi di lacrime pronte a cadere. In questo modo per completare un pezzo le occorre anche più d’un mese. Una concezione del tempo e del lavoro artistico simile a quella che abbiamo trovato nei pastelli incisi di Diem Chau e negli omini di terracotta di Kappao (anche loro orientali, una vietnamita, l’altra coreana come Yu) che abbiamo avuto modo di scoprire l’anno scorso sempre da Patricia Armocida.

Alla galleria sono esposte una decina di sculture, più alcuni disegni preparatori e sei stampe che ritraggono i volti di opere precedenti su caravaggeschi fondi neri, di fortissimo impatto visivo ed emotivo. Anche stavolta due parole sull’invito della mostra, come al solito creato da Fontegrafica, che riproduce la scultura I’m OK 2 (2009) con tecniche d’avanguardia che mimano la fisicità dei materiali originali, ultimo pezzo di quella che ormai per i frequentatori della galleria è diventata una collezione di grafiche d’arte.

Stefano Ferrari

Yu Jinyoung. I’m OK
A cura di Tiziana Castelluzzo
18 settembre – 6 dicembre 2013
Galleria Patricia Armocida, Milano

 

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