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Festival d’Annecy 2017: la Storia è animata

Festival d’Annecy 2017: la storia, quella della gente comune che attraversa epoche di grandi cambiamenti sociali ed economici, è la protagonista inaspettata della 32° edizione del Festival Internazionale del Film d’Animazione, tenutosi a Annecy dal 12 al 17 Giugno.

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Non voglio limitare il film d’animazione al pubblico giovane, commenta Marcel Jean, direttore artistico del festival d’Annecy. Il cartone animato è anche cinema. Può affrontare qualsiasi tema di società.

Abituati a considerare il cartone animato come un intrattenimento destinato a bambini e ragazzi, e per questo sovente popolato da creature fantastiche, l’edizione di quest’anno, riprendendo spunti già esplorati nella precedente edizione, stupisce per il realismo storico, non privo di critica sociale, di film prodotti ai quattro angoli del mondo.

In occasione del centenario della Rivoluzione d’Ottobre del 1917, Il regista tedesco Katrin Rothe torna sulla presa del potere dei bolscevichi. Il documentario d’animazione 1917-The Real October è un assemblaggio di immagini d’archivio e sequenze animate con la tecnica del papier decoupée. L’insurrezione passa per il prisma di note, diari intimi e manifesti di cinque artisti a San Pietroburgo: il pittore e critico d’arte Alexandre Benois, lo scrittore Maxime Gorki, il pittore e teorico dell’astrattismo Kazimir Malevitch e la critica letteraria Zinaïda Hippius. Quest’ultima, soprannominata “la grande signora di San Pietroburgo” attraversa – con un acconciatura in cartone ondulato e un abito bianco di papier bulle – un salone disegnato con quattro tratti di matita. Uno stile povero dalla resa in “2.5D”, come la definisce l’animatore del personaggio Matthias Daentschel, mentre il produttore svizzero Werner Schweizer lo definisce un “film dadaista.”

Sempre dalla parte delle grandi lotte sociali che hanno caratterizzato il XX Secolo, Un homme est mort, diretto dal regista francese Olivier Cossu e adattato dal fumetto omonimo Kris e Etienne Davodeau, evoca lo sciopero dei lavoratori sui cantieri di Brest nel 1950. La sera del 27 aprile 1950, le guardie mobili uccidono Edouard Mazé, operaio edile. Due militanti sindacalisti, P’titZef et Désiré, decidono allora di filmare la protesta operaia che ne consegue, ingaggiando un giovane regista.

Ancora in corso di realizzazione, il budget limitato obbliga a trovare soluzioni tecniche efficaci: “Restare in 2D fino alla fine, ma con degli elementi in 3D per non dover ridisegnare tutto” diventa la parola d’ordine del regista Olivier Cossu. “Per i palazzi, abbiamo realizzato nove modellazioni digitali con oltre 2000 materiali e testure diversi (…) che ci ha permesso di creare un’intera città! E per i personaggi, piuttosto che cercare la fluidità perfetta che ci avrebbe allontanato dal fumetto, ci siamo concentrati sulle emozioni lavorando sulle piccole espressioni”.

In this corner of the world del giapponese Sunao Katabuchi è il ritratto di una giovane donna giapponese a Hiroshima. Attraverso la vita di Suzu, il film racconta la storia di un mondo di volta in volta radioso e devastato, poiché ambientato nelle vicinanze di Hiroshima, città maledetta, polverizzata dalla bomba atomica il 6 agosto 1945. Tratto dal manga di Fumiyo Kouno, il film ingloba e oltrepassa il tempo di guerra, dagli anni ’30 fino all’avvenimento di una pace dolorosa. La cronica quotidiana dei personaggi, fatta di momenti banali, come una disputa in famiglia, ed eccezionali (l’allerta per la bomba) e il ritratto minuzioso, leggero e tenero della protagonista finiscono per coinvolgere lo spettatore trasportandolo nel racconto avvincente di una vita umana segnata da uno degli avvenimenti più drammatici del “secolo breve”.

La piccola storia palpita nella grande anche nel film Ethel & Ernest, di Roger Mainwood. Semplicemente, il racconto di un uomo e una donna che invecchiano, lentamente, dolcemente, mentre i figli crescono. La vera storia dei genitori del disegnatore britannico Raymond Briggs, due londinesi ordinari che, tra due tazze di te, attraversano il Novecento, dalla Grande Depressione al Blitz della Seconda Guerra mondiale, dall’austerità degli anni ‘50 alle libertà dei ’70. Una cronica “workingclass”  in 2D, di un classicismo deliziosamente obsoleto, con i fiori nei vasi, il carbone nella caldaia e le emissioni della BBC alla radio.

Film che sembrano affermare che l’animazione può essere anche politica, critica sociale. Un’attitudine confermata dalla censura di Pekino. Sotto la pressione dell’ufficio del cinema cinese, il festival è stato infatti obbligato a ritirare dalla programmazione Have a Nice Day, di LiuJian. Proiettato al 67mo Festival Internazionale del film a Berlino, Have a Nice Day racconta l’ossessione cinese per il denaro.Quando i film sono una dimostrazione della potenza industriale del paese, le autorità cinesi sono entusiaste di esportarli – dice Marcel Jean, direttore del festival. Have a Nice Day è stato realizzato da una manciata di persone. Quello che è politico, qui, è la maniera di lavorare”.

Alla Cina, invitato d’onore al festival, non resta che presentare Big Fish & Begonia, di Zhang Chun et Liang Xuan. Perfetto esempio di qualità tecnica dell’animazione cinese attuale e successo locale dell’estate 2016, con 200 milioni di spettatori nelle sale. Il film celebra la cultura tradizionale del paese. Ispirato dalla pittura “shanshui” (montagna e acqua), il film evolve tra i guardiani delle leggi naturali. Tra di loro, una ragazza decide di rendere la vita ad un uomo ferito a morte per aver tentato di salvarla. Dovrà vegliare sul defunto, allora trasformato in cucciolo di delfino, finché questo non sarà abbastanza grande da poter ritornare nel mondo degli uomini. Soprannominato il “Miyazaki cinese”, il regista, fortemente influenzato dai manga giapponesi, affonda le radici del suo immaginario nella spiritualità e mitologia classica cinese, come conferma Zhang Chun: Penso che ci vorranno due o tre generazioni per sviluppare uno stile cinese originale poiché siamo stati cullati dalle produzioni giapponesi e americani, che mi hanno evidentemente influenzato. Ma è proprio la cultura cinese ad aver nutrito il film.

Per scoprire una produzione cinematografica cinese militante, il festival ha però organizzato l’esposizione “Cina, arte in movimento” al castello di Annecy. Poiché i cortometraggi non vengono mai presentati nelle sale cinematografiche cinesi ma sono destinati alle gallerie d’arte, là dove la gente comune non va, non sono sottoposti al controllo del ministero della comunicazione e beneficiano di una grande libertà d’espressione. Ed è qui che è stato possibile vederli anche in Europa.

Giada Connestari

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