Venerdì 18 marzo a Palazzo Pepoli, Bologna, verrà inaugurata la mostra Street Art – Banksy & Co. L’arte allo stato urbano: un evento che ha suscitato polemiche e giudizi ancor prima di aprire i battenti.
In seguito a una interessante chiacchierata da Parigi con Christian Omodeo, curatore dell’esposizione, vorremmo prendere per il momento le distanze dal polverone di polemiche, dichiarazioni, prese di posizione sollevato da molti addetti ai lavori, soffermandoci e condividendo alcune riflessioni.
Se c’è un merito da dare a priori alla mostra – che ci riserviamo, come tutti, di vedere dal vivo – è proprio quello di avere aperto un dibattito, intenzione peraltro sottesa nel modo di procedere di Omodeo. La strada è appena aperta, le discussioni sono più che naturali e forse sane, in un mondo che vola veloce verso mete non prevedibili. Qualcuno si arrocca con fermezza sulle posizioni ideologiche che hanno caratterizzato le origini del graffitismo, dimenticando, talvolta, che sono stati i protagonisti stessi ad essersi dati, a un certo punto della storia, statuto di artista, aprendo dunque un varco all’interesse di storici, curatori, conservatori, i quali, spinti dalla loro vocazione (giusta o sbagliata che sia, a seconda dei punti di vista e forse delle epoche), e dai propri personali interessi, vorrebbero riservare a tali fenomeni uno spazio nei libri di storia dell’arte o una parete nei musei. Intenzione per certi versi condivisibile, sempre ammesso che i libri cartacei avranno un futuro e che i musei seguiranno le stesse logiche passatiste o si trasformeranno in entità altresì dislocate, dissociate, outdoors. Eventualità, quest’ultima, auspicabile, visto che più il concetto di “museo” si estende, maggiori sono le possibilità di ” conservare” anche gli interventi cosiddetti “illegali”.
Dovremo innanzitutto assistere a come si evolverà in generale il concetto di memoria: nella ormai assopita diatriba tra reale e virtuale, non ci stiamo rendendo completamente conto che il web, al quale stiamo affidando estese porzioni di dati da conservare, è in realtà un modo per lasciare il segno molto più effimero degli spray sui muri.
Al di là degli stacchi di alcuni pezzi di Blu ed Ericailcane – azione che ha scatenato diverse critiche e dato voce per l’occasione ad artisti che con chiarezza hanno reso esplicite interessanti riflessioni (non conosciamo però ad oggi il parere dei diretti interessati), la mostra si annuncia come molto ricca di pezzi mai esposti prima d’ora e di ricostruzioni storiche dei primi graffiti a Bologna e delle contaminazioni negli anni ‘80/’90 con gli artisti contemporanei locali, come ad esempio Cuoghi Corsello, Dado e Rusty.
Per toglierci le curiosità non dovremo aspettare molto.
La mostra è realizzata in collaborazione con Genus Bononiae e Arthemisia Group e sostenuta da Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, curata, oltre che dal nostro interlocutore, da Luca Ciancabilla e, per la sezione di New York, da Sean Corcoran. Secondo le intenzioni dei curatori dovrebbe trattarsi della prima grande retrospettiva dedicata alla storia della Street art. Il progetto nasce dalla volontà di Fabio Roversi-Monaco e di un gruppo di esperti nel campo della Street art e del restauro, di avviare una riflessione sulle modalità della salvaguardia, conservazione e musealizzazione di queste esperienze.
Sarà visitabile per la prima volta in Italia l’esclusiva collezione Wong del Museum of the City of New York, una delle rare collezioni pubbliche dedicate a queste esperienze artistiche, esposta ad Amsterdam a gennaio, che prima di rientrare oltreoceano farà una sosta nella città felsinea. Sarà dunque esposto un ampio panorama che, partendo dalle origini, dovrebbe aiutare a chiarire e meglio definire storicamente le differenze sostanziali tra writing e Street art, la cui mancata comprensione (da parte di molti, sedicenti giornalisti compresi), ingenera ancor oggi discussioni a non finire e sentimenti di “odio tribale” tra i vari artisti, protagonisti dell’una o dell’altra esperienza, ma, nella maggior parte dei casi, protagonisti del passaggio dall’una all’altra.
La mostra si annuncia suddivisa in tre macro-aree: la città dipinta, la città scritta, la città trasformata. L’arco temporale dovrebbe coprire dagli anni ’70 agli anni 2000 e restituire uno spaccato piuttosto fedele di tutte le varie esperienze di strada internazionali in dialogo con quelle locali.
Christian Omodeo rappresenta una figura di curatore “contemporaneo”: non senza difficoltà e contraddizioni, cerca incessantemente il modo di relazionarsi con artisti, galleristi, collezionisti, istituzioni, rappresentanti legali, conservatori, e soprattutto cerca di entrare nelle maglie di una cultura che ben conosce, anche nel legame con la temporalità (ha infatti partecipato attivamente alla Tour 13 a Parigi). Ma è anche testimone del flusso che include quei rapidi cambiamenti ai quali si accennava in apertura, e dell’uscita allo scoperto di molti che prima agivano nell’anonimato e che ora hanno pagine sui maggiori social e grande visibilità. Gli stessi i cui interventi in strada (vedi per esempio Space Invader o lo stesso Banksy) vengono prontamente staccati, rubati, copiati e rivenduti online nel mercato nero.
Potrebbe allora diventare interessante provare a porre alcuni interrogativi ai quali certamente vengono e verranno date molte risposte: quali tracce di queste culture stiamo trasmettendo al futuro? Quali modalità e quali approcci sono da prediligere per salvaguardare questo fenomeno? Ma poi, chi vuole salvaguardarlo e a che scopo? Quanto inciderà l’art business? Tematiche di discussioni che ne apriranno altre ancora: ricordate la formula di Popper?
Cristina Trivellin
Street Art – Banksy & Co
18 marzo – 26 giugno 2016
Palazzo Pepoli – Museo della Storia di Bologna, Bologna
Biglietti: 13 € – ridotto 11 €